Quando una canzone risulta così completa e profonda, accompagnarla con una sezione vocale vorrebbe dire limitarne l'infinita espressività. I Tortoise questo lo sanno bene e in questo album sono riusciti a catturare le nostre sensazioni vissute, i luoghi remoti visitati e li hanno trasformati in una musica mai così intensa, intrigante e evocativa. Nelle dodici tracce di questo quintetto di Chicago sono nascosti i nostri più remoti ricordi; così come tutta la nostra infanzia ritorna nel sottofondo con voci infantili di "I Set My Face to the Hillside", "Equator" (uno dei più bei pezzi di elettronica mai scritti) è la sensazione di infinitezza che si può provare solo in un tramonto in riva al mare. E se con "Suspension Bridge at Iguazú Falls" ci sembrerà di essere smarriti in un foresta di cui non ricordiamo più la via d'uscita, il calore di "Four-Day Interval" ci riporterà al conforto e alla sicurezza che solo la nostra casa materna ci si dare.
Generi e sottogeneri si mescolano come i colori di un quadro astratto creando un patchwork i cui singoli elementi costituivi danno sempre un effetto di grande unità.
Ogni suggestione sonora è un delicato accenno: l'intro jazzata semi improvvisata e velatamente floydiana, le ritmiche al confine del dub di "Swung From The Gutters", i lievi accenni orientali per marimba di alcuni brani e la latinità seminascosta.

Un album di assoluta bellezza, magnificamente suonato, dove la sezione ritmica sempre avvolgente ci condurrà per mano nel nostro album fotografico di cui, ascolto dopo ascolto, scopriremo pagine nascoste, scatti che non ricordavamo più, da cui affioreranno nuovi ricordi di emozioni vissute.

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