Ciao ragazzi, dopo le mie prime incursioni nel cinema, alla mia quarta recensione consentitemi un ingresso, in punta di piedi e con il massimo rispetto, nel mondo della musica.
Le logiche che guidano le mie recensioni musicali sono le stesse di quelle cinematografiche: musica c.d. "minore", snobbata dai critici seppur con grande successo commerciale, rivista in chiave oggettiva, ad uso dei lettori del sito.
Partiamo con Toto Cutugno ed il suo album più noto, "L'italiano" del 1983.
Toto è uno dei cantanti più noti del pop italiano degli anni '80, da noi ormai sorpassato, ma ancor assai noto in tutto l'est europeo, in cui si è trovato, volente e nolente, ad essere ambasciatore della nostra musica, con tutte le prebende del caso: forse perché il suo melodismo, la sua voce stentorea che ricorda un Celentano intonato, il suo aspetto fisico, hanno una inconfondibile impronta mediterranea che scatena, nei popoli dell'est pensieri esotici legati alla terra dei limoni in fiore. A ciò aggiungiamo come, per lunghi anni, il nostro sia stato "il" cantante degli emigrati nel nord europea, Germania soprattutto, al pari di Reitano ed altri cantanti del Belpaese.
Negli anni '80 Toto si presentava come un bel tenebroso, taciturno e riflessivo, mentre, negli anni successivi, la sua immagine divenne maggiormente popolare, presso i telespettatori medi, come ospite di alcune trasmissioni della domenica di Rai 1, con un certo successo di pubblico, mostrando il suo lato più giocoso e socievole.
I pregiudizi legati all'immagine, oggi retrò, di Toto, non devono a mio parere mettere in ombra la bontà di certi suoi pezzi, legati ad ottime intuizioni melodiche e ad arrangiamenti non del tutto banali, spesso aperti all'influenza della musica più in voga.
Non voglio ovviamente tediarvi con un track by track, sapendo come non lo amiate e non amiate probabilmente Toto, ma pongo la vostra attenzione, a riprova di quanto appena detto, su "Flash", contenuta in quest'album: la melodia si incrocia con un chittarismo rock e con qualche effetto elettronico rubato all'Aor tanto in voga nei primi anni '80, suggellando un bel crossover che può interessare gli amanti del pop italiano come pure quelli della musica anglosassone.
Bella anche "La mia musica", sorta di confessione sull'amore per il canto e la composizione, con tocchi autobiografici, non da meno "Innamorati", in cui le tematiche, trite, sui rapporti di coppia sono rese in maniera estremamente orecchiabile. "Soli", con cui Toto vinse il Festival di Sanremo dell'80, fu incisa anche da Celentano, e dimostra le affinità nell'impostazione vocale dei due cantanti, oltre ad avere un testo che tocca corde malinconiche, rifuggendo gli intellettualismi di certa canzone d'autore.
Ho volutamente tralasciato l'analisi di quel piccolo inno alla rovescia dei nostri consumi: "L'italiano", canzone che, risentita oggi, fa quasi tenerezza per i luoghi comuni che dipinge, segnando, in ogni caso, un'epoca: quella in cui il nostro paese, crogiolandosi nell'ebbrezza della recente vittoria dei Mondiali, viaggiava sereno verso l'iceberg rappresentato dalla crisi economico politica di fine anni '80 primi anni '90. Sotto il profilo sociologico, il pezzo - trascinante nelle sue melodie - descrive un mondo che, da un lato, non c'è più, ma al contempo traccia l'identikit di una tipologia umana ancora ben presente alle nostre latitudini.
Che dire: i più critici mi accuseranno di lodare il trash - tenete presente che ascolto anche i Saccarine Trust - ma spero non lo facciano per scacciare uno spettro: quello della musicassetta che molti dei genitori degli odierni lettori - o i lettori più avanti con gli anni - avevano nella loro A112, o nella loro Ritmo, o nella loro Simca Horizon, in quegli anni '80 così lontani e così sottilmente vicini, come testimonia la partecipazione di Toto al prossimo Festival, condotto - se non erro - dall'immarcescibile Pippo nazionale.
Sentitamente Vostro Il_Paolo
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