All’uscita di Toto IV, nella primavera del 1982, Lukather, Paich e i Porcaro brothers erano affaccendati con un cantante a quel tempo abbastanza noto, nella registrazione di un suo disco piuttosto insignificante, e destinato a rapido oblio. Io invece ero affaccendato a pugnalarmi a morte in cameretta, al pensiero di una qualunque capellidimiele. Capitemi, avevo sedici anni, e un mostro nelle mutande.

Tipo quando mi avvinghiavo a capellidimiele nei festini del sabato sera, ballando (si fa per dire) sul lentazzo dei Toto I won’t hold you back, bofonchiandole qualche scemenza nell’orecchio, mentre dal pavimento saliva l’afrore di Ballantino vomitato, e Steve Lukather spargeva melassa con il degno accompagnamento di tastiere, chitarre, archi, trombe e tromboni dei suoi compari.

Fatto sta che non comprai Toto IV per I won’t hold you back, seppur impegnato in cameretta in profonde riflessioni se tale pezzo fosse più idoneo allo scopo strappamutande rispetto all’altro lentone Hard to say I’m sorry dei Chicago, uscito nello stesso periodo, a giocarsi il titolo di pezzo-mattonella planetaria.

Peraltro non comprai Toto IV manco per Africa, seppur apprezzandone la ritmica perfetta e quell’incedere del pezzo movimentato ma non troppo, che dal punto di vista danzereccio lo incasellava nella notissima categoria dei “lenti figurati” .

[per i pochi ignari di tale ballo fondamentale, rientravano nella categoria del lento figurato talune pop-ballad dei primi anni ottanta (Time after time della Cynderuccia, per esempio), particolarmente temute dai maschi adolescenti frequentatori di dancing della domenica pomeriggio, come il sottoscritto, in quanto impedivano una presa salda e ravvicinata sulla pollastra tipicamente imbustata in spalline da 69ers, ma costringevano a dondolarsi come deficienti, e non di rado toccava dividere le coppie di ragazze che sull’onda di un lento figurato navigavano lungo la pista, dimenando i fianchi mentre occhieggiavano intorno ad intercettare l’arrivo di predatori, esibendo sorrisi da false educande da contrapporre ai nostri approcci rapaci, e stendo un velo pietoso sulle argomentazioni impiegate per separare le disgraziate, ricordo solo che un mio compagno di uccellagione girava con un gettone dell’autoscontro, e ho detto tutto].

Fatto sta che non comprai TOTO IV neppure per tutte le altre superhit che conteneva, a partire da Rosanna, Grammy e non Grammy, e dischi di qualunque lega. Cioè, sì, alla fine fu solo colpa/merito di Rosanna. non per la canzone in sé, ma più banalmente per il nome: Rosanna!

Ebbene sì, fui folgorato semplicemente dal nome Rosanna, perché Lukather ripetendolo alla noia nel ritornello estrasse come un amo dalla mia testa bacata di sedicenne il ricordo di colei che sei anni prima mi aveva iniziato ai piaceri innocenti del limone duro. Rosanna! Come avevo potuto dimenticarla dopo solo sei anni? Rosanna! Potenza evocativa di Lukather e soci! Grazie a TOTO IV ritornai alla memoria di quella bimbetta dalle biondetrecce battistiane, che frequentavo a dieci anni, nei miei pellegrinaggi tra i cortili e le palazzine del mio quartiere.

Praticamente abitavo in un condominio davanti alla sua palazzina. Sua in senso proprio, nel senso che lo stabile era di proprietà del padre di Rosanna, palazzo ed annessa fabbrichetta e magazzini dei prodotti smerciati dalla famiglia di Rosanna. Spesso ci trovavamo nell’androne, con gli amichetti e le amichette di Rosanna, dove la biondetrecce imponeva di giocare a Dama e Cavaliere, una versione infantile del Nobile Giuoco della Bottiglia.

Dimenticabili le modalità del Giuoco Dama e Cavaliere, ricordo solo che ci si inchinava più volte davanti alla femmina prescelta, la quale poteva rispondere con una riverenza positiva o con il gesto dell’ombrello. Un gioco da geni, lo riconosco, ma mi giustifico con la cotta che avevo per Rosanna, incredibilmente ricambiata. Fatto sta che dopo un tot di inchini ricambiati, scattava il bonus lemon, e con Rosanna mi rifugiavo nella scala degli scantinati per trastullarci in una sana limonata.

Insomma, sei anni dopo ascoltavo estasiato la song Rosanna, grato ai Toto per aver riesumato la valenza eponimica di colei che spalancava la sua morbida boccuccia, prima che la lingua si facesse tornio rotante.

Che nostalgia del tempo del limone duro ma puro, di quel piacere casto, senza mostri nelle mutande, né palpeggiamenti, né urgenze di passare alle fasi successive.

[la chiuderei qui, e invece no, perché è doverosa una finale digressione sulla distribuzione sociale degli alloggi nella palazzina di Rosanna’ Family, in rigido ordine ascendente a seconda del rango dell’inquilino. Ovvero, oltre agli scantinati delle limonate e l’androne di Dama e Cavaliere:

- PIANO RIALZATO: uffici amministrativi della ditta di Rosanna’ Family

- PIANI PRIMO E SECONDO E TERZO: alloggi abitati da magazzinieri ed operai della ditta

- PIANI QUARTO E QUINTO: alloggi abitati dagli impiegati della ditta

- PIANO SESTO: attico padronale di Rosanna’ Family

Roba da far impallidire Perec. ]

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