"Turn Back" è il terzo lavoro dei Toto, datato 1981. Strana band, quella formata, all'epoca, da Steve Lukather (chitarra), Bobby Kimball (voce), David Paich (tastiere), David Hungate (basso) e i fratelli Steve (tastiere) e Jeff Porcaro (batteria). Dopo il debutto trionfale dell'album omonimo (1978), trainato a vendite eccellenti dai singoli "Hold the Line", "I'll Supply the Love" e "Georgy Porgy", con tanto di nomination al Grammy Award come miglior album d'esordio, la carriera dei Toto subisce un inatteso rallentamento. I super-musicisti californiani, presi singolarmente, sono dei numeri 1 del music business Usa, prestano la loro opera di turnisti di lusso alle maggiori star del momento (basti citare la presenza dell'intera band nell'album dei record Bad di Michael Jackson, dove trova anche spazio un brano, "Human Nature", firmato da Steve Porcaro), ma la stampa mondiale crea intorno alla band una nomea negativa di superband "virtuale", un gruppo di musicisti che si unirebbero senza un intento comune, solo per "battere cassa" creando prodotti freddi e privi di anima in nome del business. Ma non sempre grande tecnica ed eclettismo sono sinonimi di mancanza di "sacro fuoco", anche se la verità probabilmente sta nel mezzo: la band Toto è comunque una realtà tutt'altro che virtuale, e lo dimostrano i 30 anni di carriera che proprio nel 2008 vengono celebrati con un tour mondiale di grande successo. Anche se forse, esulando dal lato puramente tecnico, dove i nostri svettano in modo eclatante, la storia del rock non riserverà loro un ruolo di primo piano dal punto di vista della creatività e della capacità di esplorare nuove vie.
Si apre con "Gift with a Golden Gun", un bel rock tirato con la voce di Kimball in evidenza e le chitarre sintetizzate di Luke a tessere trame sonore particolari. La successiva "English Eyes" è ancora una volta "terreno di conquista" per Lukather, che apre con un riff duro e tagliente, accompagnato dal drumming mai banale del compianto Jeff Porcaro e dalle escursioni della potente voce di Kimball fino a sfociare, dopo il ritornello, in una parte strumentale con le tastiere a ricamare impasti per gli strumenti solisti (la voce e la chitarra). Altro momento "importante" la cavalcata rock di "Goodbye Elenore", all'epoca singolo tratto dall'album, un classico brano Toto che ricorda "Hold the Line" o "All Us Boys", con immancabile conclusione affidata a Lukather. Ma c'è spazio anche per la dolcezza, come nell'accorato grido di Kimball in "A Million Miles Away" o la conclusione affidata ai coretti quasi countreggianti di "If it's the Last Night".
In definitiva una prova più che positiva, un disco da ascoltare per cogliere le piccole perle di saggezza musicale che la band sa inserire in ogni singolo passaggio. Un disco decisamente rock, con la chitarra di Lukather grande protagonista. Ma un disco che, ancor più del precedente Hydra, non avvicinerà nemmeno lontanamente il successo del primo album, tanto da costringere la band, dopo un breve tour, a rivedere il tiro e recuperare atmosfere tra il fusion e l'r'n'b che faranno di Toto IV (trascinato dai tormentoni "Rosanna" e "Africa") un vero trionfatore.
Una nota sulla copertina: minimalista, su sfondo bianco dominato dalla scritta Toto in caratteri neri "pennellati" a formare quasi un viso. La cui espressione pare corrucciata. Niente nebbie, niente spadone. Solo la musicaCarico i commenti... con calma