Dopo l'ambient-techno di "Kokotsu" i danesi Tournesol tirano fuori uno dei dischi più interessanti e sottovalutati dei 90's elettronici: Moonfunk (1995) edito sulla gloriosa R&S. Delle atmosfere apocalittiche e disagiate del suo predecessore non vi è quasi più traccia, e quei interminabili droni a primeggiare svolgono adesso un ruolo quasi esclusivamente di "sfondo". L'intento è osare e sperimentare, l'esito è un suono mite e profondo, spaziale e dimesso; paesaggi sonori irreali simil Oval dominano uno scenario atonale caratterizzato da un ammirevole collage stilistico (ambient, rap, techno, jazz, trip hop, break per citare alcune influenze).

L'ambient organica e monofonica è tuttavia ancora presente: "Inside Angel" e "Baljerne" riprendono le atmosfere opprimenti e claustrofobiche degli esordi; sulle texture cosmiche di "Scapeland", e il futurismo glitch di "Mapping Your Mind" battiti sincopati e suoni fluttuanti in un mare di delay sollecitano il trip mentale. Il cambio di direzione avviene con le inaspettate sonorità chicago house di "Chords of Rhythm" e col suono ovattato di "Junglemovie" e "2095", episodi quest’ultimi che seguono le linee guida appena trattate dai Future Sound of London sul quasi coetaneo "Lifeforms", ovvero pad onirici e ritmiche liquido-riverberate che delineano lo spazio e la (non)forma della musica dei Tournesol. Proprio i due danesi rimangono attualmente tra i pochi ad essersi avvicinati all'irraggiungibile sound dei FSOL, pur senza "clonare" ma proponendo qualcosa di simile seppur in una chiave più semplificata, meno astratta e più extrasensoriale rispetto al suono futurista e visionario dei londinesi; un esempio è il dub acido e nevrotico di "Sunny Blow".

Ulteriori sviluppi della ricerca dei Tournesol si intravedono sul trip hop rappato di "Volt'Age" e "Interplanetary Zonecheck" (idea che verrà poi ripresa con maggior successo dagli Archive di Londinium), e in secondo luogo sul breakbeat astrale di "Electrowaltz" e il similjungle di "Break'n' Space", tracce che fanno però leva sull’approccio ambient tipico del duo, usufruendo di soluzioni poco usuali per gli standard di questi generi. L'esperimento più interessante è sicuramente "Clockworking Clockwork Clock", una sorta di jazz elettronicavanguardistico che sono sicuro sarebbe piaciuto al Miles Davis più in vena di sperimentazioni.

Un disco le cui intuizioni si riveleranno vincenti con gli anni a venire, peccato solamente che il duo non abbia proseguito su questa scia buttandosi a capofitto sul future jazz tramite il mediocre progetto "The Society". Se siete dentro alla roba similwarp dello scorso decennio allora si tratta di un lavoro da riprendere in considerazione. 

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