Ogni musicista che si rispetti cerca di "esorcizzare", attraverso le proprie canzoni, le sue paure . Alcuni di questi riescono a raggiungere un certo equilibrio che permette loro di sconfiggere, definitivamente, questi "demoni" che, in fondo, si annidano, pronti a far del male nei momenti più inaspettati, nell'anima di chiunque. Altri non sono in grado con le proprie forze di instaurare quest'equilibrio e, quindi, precipitano nel baratro dell'autodistruzione. Townes Van Zandt appartiene, senza dubbio, a quest' ultima categoria. Non gli sono bastati la dedizione disinteressata nei confronti dell'arte delle sette note, il riconoscimento della critica e degli "addetti ai lavori" ( oggi si sprecano i nomi dei musicisti che stimano in sommo grado questo cantautore solitario) e l'affetto di uno sparuto, ma affezionato pubblico. La depressione e le droghe lo hanno logorato e hanno contribuito ad accellerare la sua scomparsa, avvenuta prematuramente nel 1997 .

Questa bivalenza della sua musica, sospesa tra timida spensieratezza e radicale melanconia, emerge, senza mezze misure, in "Delta Momma Blues", un disco, pubblicato nel 1971, denso e poetico ( due aggettivi che, per il sottoscritto, possono essere affibbiati a qualsiasi sua creazione). La speranza pervade la canzone omonima, una narrazione ottimistica segnata dal duetto tra l'arpeggio limpido della chitarra acustica e il fiddle, lo sgangherato blues di "Where I lead me" e "Turnstyled, Junkpiled", quest'ultima con una cornice strumentale gioiosa. Uno degli episodi più significativi del disco è "Come Tomorrow", una preghiera a cuore aperto, dove il protagonista confessa all'amata di non essere in grado di affrontare le difficoltà della vita da solo ("A thousand bridges sadly burning, And light the way I have to walk alone, Come tomorrow"), le comunica il bisogno di lottare, insieme, contro le avversità esterne (" it's only That I ain't used to being lonely Like I'm gonna be without you, Come tomorrow"). La contradittorietà della musica di Van Zandt si palesa in "Only him or me", pacata canzone su un tradimento che lascia una ferita che mai più si rimarginerà. Lo stesso discorso vale per "Tower Song", (oggettivamente) un capolavoro struggente, uno strale dolce-amaro che lascia pietrificato l'ascoltatore. Qui le vicissitudini del distacco sono affrontate con quieta rassegnazione, senza alcuno spazio per sentimenti come la rabbia e il rancore. Tuttavia, la mai sopita disillusione caccia fuori gli artigli e conficca la sua effigie nelle ultime due canzoni (di indubbio spessore) : "Rake" e "Nothin'". La prima è una parabola ( con il pathos drammatico conferito dagli interventi degli archi e del corno, che fungono da contrappunto alla consueta,ma sempre "emozionale" narrazione affidata alla chitarra e alla voce profonda di Van Zandt) su un giovane che decide di abbandonarsi a una vita dissoluta per sfuggire alla dura realtà che, poi, gli si rivelerà, rendendolo inadatto alla vita. La seconda è una canzone "bluesy" che afferma come, fin dalla nascita, l'uomo è esposto alla sofferenza ("As brothers our troubles are, locked in each others arms ; and you better pray they never find you"), e che si chiude con un inciso "glaciale" e paradigmatico della poetica di questo autore ("Sorrow and solitude these are the precious things and the only words that are worth rememberin' ).

A riguardo delle canzoni di Van Zandt (manifestazioni artistiche semplici e, contemporaneamente, profonde che meriterebbero maggiore diffusione), c'è poco, pochissimo da dire ( ed io ho parlato più del dovuto...perciò mi fermo qui.) e molto da ascoltare.


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