"When I was a young boy a lived for rock'n'roll; We spent our time playing gigs and travelling on the road; And we didn't have much money and the gigs were sometimes rough; Now I am a young man dressing in sparkling coloured clothes; A country house e sixty acres are a heavy load".

Così canta Steve Winwood, neopradrone di 60 acri nel Glouchestershire, in "Memories of a Rock'n'Rolla". Siamo nel '74 i "favolosi anni '60" sono finiti da un pezzo e l'imborghesimento avanza: i Traffic, loro sono al passo d'addio, di nuovo un quartetto, senza l'ingombrante sezione ritmica dei Muscle Shoals e con il giamaicano Rosko Gee al basso. Ma a sorpresa l'album di congedo non segue affatto la china di compiaciuta indolenza intrapresa con "Shoot Out At The Fantasy Factory" ed "On The Road", proponendo pezzi più radio-friendly dove finalmente la splendida voce di Winwood spazia libera come ai tempi di "John Barleycorn Must Die".

La jazzata "Something New", per esempio, ha, ironicamente visto il titolo, la leggerezza tipica dei loro brani dei sixties, così come, all'altro estremo, la sinistra "Graveyard People" richiama un po' l'incubo psichedelico di "50000 Headmen". Non mancano comunque brani più estesi, nella più tipica tradizione dei Late Period Traffic: la jam session di turno quì è "Dream Gerrard", costruita su un ipnotico riff al sinth e su improvvise e drammatiche folate di mellotron sui quali Winwood al piano e Wood al sax-wah wah ricamano due interessanti assoli, romantico il primo, sornionamente invitante il secondo. L'incomprensibile testo, evocante il mondo onirico del poeta romantico Gerard de Nerval che vedeva nel sogno una seconda vita, è opera, e come stupirsene, di Vivian Stanshall, l'eccentrico animatore della Bonzo dog doo dah Band, orgoglio dadaista della swingin' London. Il brano, anche se segue un pò la falsa riga di "Low Spark of High Heeled Boys", è notevole e merita la palma di migliore insieme, probabilmente, all'altro mid-tempo "Walking In The Wind". La title track infine, seppur marcata da un pretenzioso testo ecologista di Capaldi, è un perfetto brano di chiusura che ci culla su un morbido tappeto di percussioni, organo e pianoforte verso la fine di una bella avventura.

P.S.: In copertina è raffigurato un bel disegno del gruppo basato su una foto in cui è ancora presente il percussionista africano Rebop, il quale però, a quanto pare dai credits, non ha mai partecipato alle registrazioni dell'album.

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