Ogni epoca ha il suo supergruppo: durante i primi anni ’70 si formano i maghi del prog Emerson, Lake and Palmer; all’inizio degli anni ’80 John Wetton, Geoff Downes, Steve Howe e Carl Palmer formano gli Asia, sfornando album eccellenti; negli anni 2000 è la volta degli immensi Transatlantic.

Quattro illustri uomini che suonano progressive formano una band: Roine Stolt (chitarra) dei Flower Kings, Neal Morse (tastiere, voce) degli Spock’s Beard, Mike Portnoy (batteria) dei Dream Theater ed infine il grandioso Pete Trewavas (basso) dei Marillion. Si può dire che il loro sia un prog abbastanza puro, ricco di passaggi complicati e talvolta qualche virtuosismo, frutto di una formazione solida che è riuscita a trovare subito un buon affiatamento, oltre all’avanzato grado tecnico di cui ogni membro del gruppo è dotato. Sono musicisti di prim’ordine, insomma.

Le influenze sono molteplici, ma principalmente si può affermare che ognuno ha portato qualcosina dalla propria band di origine, anche se qua e là riusciamo ad intuire quanto sia grande la loro passione per i Beatles (soprattutto in alcuni coretti e nelle parti di pianoforte). Il titolo dell’album altro non è che l’acronimo delle iniziali dei loro cognomi. La copertina computerizzata è molto futuristica, con questi dirigibili destinati diventare anche il logo della band. Apre le danze la fantasmagorica e lunghissima suite All Of The Above di 30 minuti e rotti, divisa in 6 pezzi:

I. Full Moon Rising, grande intro all’insegna del progressive più maestoso, con diversi e variati passaggi, fino al theme principale cantato divinamente da Neal Morse, con una chitarra un po’ funky di Roine Stolt, che in qualche passaggio ricorda Steve Howe. II. October Winds, in cui si rallenta un poco il cantato, mentre gli intermezzi chitarristici e la tastiera lavorano assiduamente, con un pizzico di Jazz suonato dal pianoforte. III. Camouflaged In Blue, forse la parte più bella di tutta la Suite, è eterea, ben congeniata e strutturata, introdotta dal grande arpeggio di basso di Trewavas. IV. Half Alive, il ritmo riprende a correre, con un ricorrente riff di sintetizzatore già sentito nell’intro. Buon pezzo. V. Undying Love è un altro momento suggestivo, questa volta più acustico, in cui i cori sono cantati alla perfezione, e poi nuovamente intricati passaggi strumentali. VI. Full Moon Rising (Reprise) è la ripresa del theme iniziale principale con il consueto gran finale.

Il secondo brano è We All Need Some Light, acustico e maestoso, dalla forte parte melodica e dal ritornello poetico. Mystery Train invece cambia decisamente tono ed è più sperimentale, molto potente, un buon esempio di progressive moderno. My New World è di nuovo una Suite, introdotta dagli archi, per poi passare ad una suonata di pianoforte che sembra uscita da un album dei Beatles, nello stile di Lady Madonna e un cantato in stile Fool On The Hill, in chiave anni 2000. La parte centrale racchiude progressive quasi estremo. Sostanzialmente gradevole. L’ultimo brano è anch’esso una suite, In Held (Twas) In I e altro non è che una rivisitazione di un pezzo dei Procol Harum, difatti è firmato Brooker/Fisher/Reid. Parti recitate, musica a tratti astrusa, a tratti molto semplice, musicisti davvero mostruosi nell’eseguirla, ma forse non è il brano più entusiasmante di tutto il disco.

Nella versione Limited Edition c’è anche un secondo Cd che include una versione diversa di My New World, We All Need Some Light cantata da Roine Stolt, versioni jammate in studio di Honky Tonk Woman e Oh Darlin’ e infine il Demo di My Cruel World, più una sezione interattiva per Pc, che forse è la parte più interessante di questo Bonus Cd. Inoltre questa versione doppia è confezionata in digipak, in un libretto di una ventina di pagine con foto a colori, lyrics dei brani, credits dettagliati e un’intervista ai membri del gruppo. SMPTe è un’opera indubbiamente fuori dal comune, sia come ascolto che come realizzazione, ma forse l’unico suo difetto è la prolissità che, pur senza rendere questo album lagnoso, scocciante né tantomeno pesante, ne rende però l’ascolto piuttosto impegnativo. Per ascoltare questo album servono ben 77 minuti (il voto sarebbe un 4,5 in realtà) in cui bisogna perlopiù essere concentrati sulla musica.

Insomma un capolavoro che va però gustato con le giuste misure e con le giuste dosi.

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