È l'età di mezzo quella antipatica.

Quando venne alla luce, tutti gli si fecero intorno per cantarne le lodi, per sorprendersi di ogni sua espressione, per godere della novità. Poi nessuno gli fece più caso, e per alcuni anni fu dimenticato. Ora si ricomincia a parlarne per le imprese, le avventure, le conquiste. Imprese scolastiche, avventure con il gruppo scout, conquiste di tornei parrocchiali: quel demonietto di mio nipote è tornato all'attenzione per quello che combina, dopo averla brevemente monopolizzata per il solo fatto di essere nato.

TGU avrebbero voluto diventare grandi subito, ma il loro periodo di mezzo non terminava: esaurita la sorpresa per la festa interculturale che avevano organizzato per noi all'inizio degli anni '90, scoprirono, in questo terzo album, di dover ancora sviluppare delle tendenze definite che avrebbero potuto rilanciarli all'interesse del pubblico.
I loro collages pop-art non rispettavano alcuna delle fonti saccheggiate: un "Aloha" di benvenuto, una collana di orchidee, un gonnellino di banano e subito in pista con l'imperativo di avvinghiarsi al partner più esotico. C'è una stamburata nomade, un brandello di krautrock e una carrettata di strumenti che si dovrebbe cambiare codice genetico per poterli suonare senza mettersi a ridere. Gli improbabili ingredienti della cuisine creativa e terzomondista dei TGU venivano offerti nella gelatina di un pangermanesimo tanto naturale da sembrare il prossimo, inevitabile passo nell'evoluzione umana. Ma ci sarebbe voluto un rituale, un filo conduttore, un'esigenza popolare, più che una direttiva pop, per condurre la carovana TGU in territori meno generici. Le voluttuosità medioorientali degli album di Natacha Atlas, qui in veste di cantante, le escursioni ambient di Loop Guru, l'appropriazione folk di Deep Forest (geniale nella scelta delle improbabili melodie) e di Sacred Spirit (volgare nello spudorato intento commerciale), tutte suggerivano una qualche specializzazione del pangermanesimo imperante al tempo.

Per tenerci col fiato sospeso, TGU avrebbero avuto bisogno di saltare un baratro più ampio, di inebriare con una spezia più forte, di mandare ad accoglierci un Frankestein musicale più ardito, più curioso, più versatile e probabilmente ermafrodita. Non è successo, peccato. Ne avremmo parlato con piacere.

Non hanno saputo crescere: ci rimangono queste follie adolescenziali che non sono arrivate a immaginare un mondo davvero unito non solo negli incontri negli ostelli della gioventù, ma nei matrimoni, nelle imprese e negli stili di vita. Glielo dico sempre, a mio nipote: impara le lingue, va' a fare i compiti con quella ragazzina cinese tanto carina, e impara a mangiare con le bacchette!

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