Voglio fare un bel regalo al portale di DeBaser per questo mese di Gennaio: una pagina diversa, in più, da aggiungere alla sua enciclopedica riserva. Chiedo scusa intanto se mi accingo a recensire un disco praticamente irreperibile sia sul mercato che sul web. Certamente una lacuna, la mancata fruibilità dell'opera in questione, che non può essere colmata dalla semplice curiosità del lettore (alla quale faccio comunque appello per dare un po' di senso a questa pagina) o protocollando qualche samples.
Traumfabrick "non è un nome tedesco. E' la traduzione italiana di "Fabbrica del trauma".
Traumfabrick è il progetto di una band lucana (i componenti sono quasi tutti di Policoro) formatasi nel 1995, dichiaratamente consacrata ad un lavoro di sperimentazione basato sul connubio tra ricerca sonora ed opera di visualizzazione. Il loro progetto artistico viene subito segnalato come uno dei più interessanti nel panorama musicale underground, i nostri ottengono importanti riconoscimenti (come si evince dal piccolo compendio pubblicato sul profilo di myspace, che consiglio di leggere per avere maggiori informazioni al riguardo), dando alle stampe alcuni mini cd (distribuiti anche in vinile) ed un unico long - playing, "Totentanz", realizzato nel 1997. Purtroppo, nonostante le attenzioni ricevute, la band si sfalda e l'imminente scioglimento la accoglie forse troppo prematuramente nel limbo delle promesse mancate.
"Totentanz" (letteralmente "Danza della morte") è il testamento spirituale dei Traum, un'opera, seppur non proprio lineare, dalla grande intensità e dai molteplici risvolti.
Naturalmente non stiamo parlando di produzione a livello amatoriale. La qualità di registrazione è ottima, grazie alla resa di una equalizzazione generale precisa e nitida, indispensabile per estrarre l'anima più beat contenuta in ogni singola nota. Ed ogni singola nota profusa è un mattone: chiara, definita, potente.
L'egregio lavoro di basso e batteria a sostegno di una chitarra fortemente atonale sono le caratteristiche alla base del playing, che avvalora una forma criptica di jazz-rock, inaridito, impastato ed acido, votata alla perenne ricerca di tratteggi indeterminati e decisamente poco stucchevoli. Qualcosa che si accosta spesso ai lidi funk e fusion senza trascurare certe venature di math-rock. Il tutto trabocca di momenti goliardici che tradiscono in parte le influenze principali (preciso: influenze anche non strettamente centrate nell'ambito musicale, ma estese alla passione per la fumettistica): a volerne fare una grossolana esemplificazione direi un misto tra King Crimson, Primus, Mr. Bungle, John Zorn - quello dei Naked City -, Frank Zappa, Minutemen, tutti tra l'altro citati dagli stessi componenti della band, in sodalizio con una buona fetta di cultura classica ed i suoi autori più geniali e spericolati. In questo senso è lodabile e da premiare la sagacia con la quale il gruppo, operante come unità coesa, affronta (con incredibile padronanza di mezzi) quelli che si possono considerare gli archetipi e le fondamenta della storia del rock sperimentale.
Salvatore Visaggi è il perno attorno a cui ruota la magica alchimia: chitarrista dall'impostazione molto heavy (mentre dai soli di Fripp prende in prestito il gusto sinfonico e lirico), si rivela anche ottimo bassista (ruolo poi coperto a tutti gli effetti dal subentrante Matteo Bennici), con ampia padronanza del fraseggio rock. A coadiuvarlo c'è Giambattista Mele alla batteria e Stefano Maramarco, seconda chitarra e voce principale; una voce semplice, la sua, ma che sa trasformarsi, divenire grossa e ricca di pathos. Altro contributo per la fase finale del mixaggio è dato da Pierangelo Troiano per l'uso massiccio di samplers ed effetti elettronici.
L'ossatura del disco è riconducibile a quattro cicli o momenti differenti che poi vengono mescolati fra di loro: (1) l'insieme che gioca la carta dello humor zappiano, (simpatico esempio è il surf-rock di "Hole In My Boot"), (2) i momenti parossistici affidati ad echi, voci, suoni sibillini ("Entra in un imbuto", "6 macchie di Rorschach", "What's The Secret Word For Tonight" ), (3) l'insieme più corposo composto da dilatate sinergie strumentali che vanno contro il canonico formato canzone - vale la pena citare i richiami onomatopeici delle chitarre di "Little Duck On Zebra Crossing", le ritmiche ondivaghe di "Fly", "Fantic Frenetik" e "Totentanz", il ‘pulp - rock' di "Jumping Fish Is On The Ashes", o la più enfatica "The Thinker". Altro ottimo brano è "Pumpkin Blus", in sostanza un roccioso tema ‘quasi' swingato che viene letteralmente depredato dei suoi accenti accomodanti; parte come un colpo di pistola e si sublima in un funky rock graffiante. - (4) E poi c'è l'intimità con la quale Visaggi accarezza la sua chitarra, a chiudere con eleganza ed un tocco di malinconia l'ideale quadratura dell'opera: "Gymnopedia N°1", "My Teacher" e, soprattutto, "Engram" fondono la poetica visionaria della chitarra, con i ritagli di un mondo in cui classica e jazz si mischiano e si alimentano senza sosta.
Dopo "Totentanz" un altro ep -"Città Violenta"- ed infine lo scioglimento che sancisce l'amaro epilogo.
La storia dei Traumfabrick mi ricorda una di quelle giornate perfette che si sposano con niente e con nessuno. Giornate dimenticate, che lasciano dietro di sé una scia di sommesso tepore, e che poi all'improvviso ripeschi, come il coniglio dal cilindro, riassapori e ti porti dietro come un ricordo creativo.
Ascoltare "Totentanz", per me, è come rinnovare ogni volta questo delicato piacere.
Arrivederci Mr. Traum!
"Traumfabrick non è un nome tedesco. E' la traduzione italiana di "Fabbrica del trauma". Taumfabrick non esiste più!"
Carico i commenti... con calma