Arrivano al traguardo dell’ottavo album in studio anche i britannici Travis, paladini e precursori di un certo post britpop dalle atmosfere malinconiche e sognanti, che ha dato il via ad un’ondata di band di grande successo internazionale come i Coldplay (ormai in decisa virata verso il pop d’alta classifica) e i Keane, per fare un paio di esempi.
Anticipato da ben quattro singoli, il nuovo “Everything At Once” arriva a tre anni da un buon disco come “Where You Stand”, che recuperava le radici sonore della band dopo una malriuscito tentativo orientato verso il rock (“Ode To J. Smith” del 2008, non inascoltabile ma di certo la loro prova più debole).
Se la titletrack, scritta dal chitarrista Dougie Payne ed estratta come lead single nel novembre 2005, poteva dare segnali di una nuova propensione ad alzare il volume delle chitarre (una strofa che non dispiacerebbe a Beck Hansen confluisce in un rockeggiante ritornello radiofonico e solare), il resto dell’album si rivela un buon ibrido tra i Travis più classici ed un leggero e discreto “rimodernamento” del sound della band (per quanto una band attiva dai primi novanta e molto classica e quadrata nel proporsi possa rimodernarsi), portando a conti fatti alla loro miglior prova in studio da una decina d’anni a questa parte.
Non mancano i Travis più legati alle loro radici, che si manifestano in un lotto di tracce che sembrano prese di peso dal loro capolavoro “The Man Who”, a partire dalla stellare opener “What Will Come”, per passare dal secondo singolo “3 Miles High” (co-firmato dal frontman Fran Healy con la cantautrice norvegese Aurora), da una sognante “All Of The Places” e dall’unico duetto del disco, “Idlewild”, che vede la partecipazione della cantautrice Josephine Oniyama.
Per il resto, troviamo una solarissima “Magnificent Time”, nata da un’idea del tastierista ed autore dei Keane Tim Rice-Oxley, che ci introduce a “Radio Song”, miglior pezzo del lavoro e in assoluto miglior brano proposto dalla band dai tempi di “The Boy With No Name”. Qua le chitarre si fanno più sinistre (per gli standard della band) e tessono trame leggermente più ruvide e debitrici di certo alt rock americano dei primi novanta, costruendo un delizioso muro del suono ad accompagnare la sempre impeccabile prestazione vocale di Healy.
“Paralysed” alza il ritmo e guarda al folk, “Animals” è un bel pezzo rock scritto da Payne ed impreziosito da un bel riff geomterico nel refrain mentre “Strangers On A Train” è una ballad guidata dal piano che chiude il disco e ricorda molto certe proposte degli OneRepublic.
“Everything At Once” è un altro buon disco dei Travis, che prosegue e consolida la tradizionale coerenza nella proposta della band britannica.
Miglior brano: Radio Song
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