“Venghino, siori, venghino...”: l’annuncio de “l’incredibile spetaculo de la vida, l’incredibile spetaculo de la muerte” arriva solo alla sesta traccia, e non credo sia casuale; siamo in quella “Abito al limite” che segna un po’ lo stacco tra le due parti di questo album, una prima fatta di suoni più puliti e testi più leggeri ed una seconda più in linea con quello che i Tre Allegri Ragazzi Morti avevano prodotto fino a quel momento. Ma andiamo con ordine, per cercare di capire meglio le due anime di questo disco.

“Mostri e normali” è la seconda prova lunga della premiata ditta Toffolo – Molteni – Casta, datata 1999. Il terzetto friulano veniva da tre EP autoprodotti e da un album/compendio della sua fase iniziale come “Piccolo intervento a vivo”, il quale aveva portato ad un contratto con una major discografica: la BMG Ricordi. “Mostri e normali”, perciò, è il primo album dei T.A.R.M. sotto BMG – incidentalmente, sarà anche l’ultimo, perché poco dopo i nostri fonderanno “La tempesta Dischi”.

Da questa situazione credo derivi la doppia anima dell’album di cui stiamo parlando. I primi cinque pezzi sono molto curati, oserei dire levigati, a livello di produzione: rimane qualche “schitarrata” qui e là, più per seguire la moda del periodo che per altro (era il momento in cui spopolavano i Prozac+ con “Acido acida” e perfino i Verdena godevano dei favori di Mtv), ma gli arrangiamenti scelgono spesso strade semplici e sicure. Anche le melodie sono facili ed orecchiabili ed i testi parlano per lo più di problemi sentimentali, sebbene rimanendo sopra un certo livello di dignità. In questa parte, spiccano per un verso la delicata “Occhi bassi”, mentre un segno diverso lo dà l’ironia di “Dipendo da te”.

La citata “Abito al limite” introduce verso i suoni più ruvidi che accompagnano la seconda parte del disco. È qui che i tre ragazzi di Pordenone ritornano davvero “morti” e riescono ad assestare qualche graffio, nel loro stile, alla società che li (ci) circonda: paradigmatica in tal senso è “Sono morto”. Con “Uomo mangia uomo” si prendono anche il lusso di rispedire al mittente le lusinghe del dorato mondo dello star system, con il loro sapore di “deodorante del cesso”. Che non fosse solo per darsi un tono da ribelle (Ligabue docet), ma fosse critica convinta, lo hanno dimostrato con i fatti solo pochi mesi dopo. In queste canzoni tornano le sonorità di ispirazione grunge che contraddistinguevano molti dei loro primi pezzi ed anche il cantato di Toffolo diventa più graffiante e spontaneo. Peccato solo che la tensione della seconda parte sia spezzata da “Dimmi”, aggraziata cover degli Smiths che però, forse, segna uno stacco eccessivo nella scaletta dell’album.

Cinque pezzi per la prima parte, cinque per la seconda. L’undicesimo ha il compito di placare ogni dissidio e chiudere lo “spetaculo”: “Non mi manca niente” esegue il suo compito nel migliore dei modi, con un loop atmosferico, quasi ipnotico, di oltre sei minuti che oltretutto, in due sole frasi, offre una massima di vita in grado di scardinare alle radici il consumismo che infesta la nostra società.

Tirando le somme: siamo comunque in presenza di un album discreto, che soffre, forse, per alcune scelte legate ad esigenze di produzione, ma che è comunque riuscito a lasciare in eredità al repertorio dei TARM una manciata di brani da ricordare.

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