Dalle stalle alle stelle, andata e ritorno.
Ecco definita in una frase la carriera lampo delle Treble, trio olandese di ragazzine di strada. La loro storia sembra un film per teenagers. Tutto cominciò nel 1995 quando le sorelle Niña e Djem Van Dijk incontrarono ad una festa in spiaggia Caroline Hoffman, che si esibiva assieme agli amici. Le tre fecero presto amicizia, tanto che i signori Van Dijk chiesero alla Hoffman di diventare l'insegnante di musica delle loro due figlie. Fu così che nacquero le Treble. Non avendo contatti 'altolocati' nel mondo della musica, non avendo neanche granché idea di come poterseli procurare e soprattutto essendo tre spiriti liberi, quasi yippi, le tre giovani iniziarono a girare per i Paesi bassi, esibendosi agli angoli delle strade in canzoni da loro scritte e composte, accompagnate unicamente da una chitarra e due djambé. Poco alla volta riuscirono a produrre qualche demo e spedirla qua e la, ponendosi in luce con qualche produttore lungimirante.
Il loro stile afro era accattivante, soprattutto in un Paese come l'Olanda, dove i ritmi e i suoni di luoghi assolati vengono particolarmente apprezzati. Le Treble incisero il loro primo album, che riscosse un discreto successo. La loro particolarità, oltre ai ritmi tribali, è la lingua in cui cantano. Nessuna. Nelle loro canzoni si esprimono in minima parte in inglese e ancor meno in francese. Per la maggior parte i versi sono parole da loro inventate in base alla musicalità. Sostengono che la musica non ha bisogno di un idioma: si possono esprimere e trasmettere delle emozioni anche senza parlare nessuna lingua. L'attenzione del pubblico è tanta, loro vengono catapultate in un mondo che forse non si aspettavano. Esce così il loro secondo album, cantato stavolta buona parte in inglese e, ancora, nella loro 'lingua privata'.
Il titolo del lavoro è 'Free'. Vengono selezionate anche per rappresentare i Paesi Bassi all'edizione 2006 dell'Eurovision Song Contest ad Atene, con la canzone «Amanbanda». L'esibizione è energica, loro dimostrano di saper cantare tanto per strada quanto davanti ad un pubblico di milioni di persone, ma non si piazzano oltre la semifinale. L'album è piacevole, le loro voci ben coordinate ed in armonia tra loro. Le percussioni ben suonate, i ritmi accattivanti. Tra tutti i pezzi spiccano la title-track «Free», in cui raccontano la loro storia (sicuramente molto romanzata) di ragazze andate via di casa presto, per inseguire la loro passione per la musica e che, anche una volta raggiunto il successo nazionale, era possibile vedere suonare scalze agli angoli delle strade. Troviamo poi «Amanbanda», canzone con la quale parteciparono all'Eurofestival, dai ritmi veloci e tribali, cantata in massima parte nella loro non-lingua, e ancora «Leave Me Alone» che, per ritmi e vocalizzi sembrerebbe una melanconica ballata, ma il cui testo (totalmente in inglese) è ai limiti del crudele, in cui dicono ad un immaginario ragazzo «lasciami stare, mi stai addosso, vattene, non voglio più sopportare la tua presenza, non capisci che non ti vedo neppure?».
Il lavoro è carino, pulito, le loro voci fresche, ben educate, ben coordinate. Un album da ascoltare in macchina o in un momento di relax. Ma, come dicevo prima, la storia delle Treble si riassume con dalle stalle alle stelle, andata e ritorno. Dopo il successo di Free e un tour europeo, dall'album sono stati estratti unicamente i singoli contenenti la stessa title-track e «Amanbanda» (compresa anche nel doppio cd contenente tutte le canzoni che parteciparono all'edizione 2006 dell'ESC). Era in progetto l'uscita di altri singoli: si parlava di «Lama Gaia» o di «Fly», ma improvvisamente, da un momento all'altro, le Treble sono tornate nell'oblio. Forse saranno tornate in qualche angolo di Amsterdam, con la loro chitarra e i loro djambé ad allietare i turisti.
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