Era il duemilasei e una volta che il minimalismo era stato fatto, bisognava fare i minimalisti.
Oppure il contrario, una volta fattisi, i minimalsti fecero il minimalismo.
Magari sei fatto tu e questo disco ti sembra minimale.
Chissà.
Comunque sia, diciamo giusto un paio di cosette prima di andare ad aprire la scatoletta di Manzotin che ho nella dispensa: Trentemoller è un bravo ragazzo, spazia da polo a polo con tanta agilità che sovente ti fa chiedere il perchè molti lo conoscano solo per i remix truzzi che ti fanno truzzare il sabato alla disco. Difatti l'abilità miscellanea è incredibile.
Trentemoller (qualche riferimento alla fiacchezza insita nell'ultimo Reznor?) domina infatti vari generi: l'ambient innanzitutto (il disco ne è pregno) il pop-rock-psichedelico (sintetico) talvolta pink-floydiano, talvolta molto "post-rock", la prima techno anni '90 con i suoi suoni spaziali, la minimal Hawtinniana più spudorata (Chameleon è puro Hawtin al cientoperciento, ma d'altronde tutto il minimal è sintetizzabile in Hawtin) il trip-hop marziale marziale di un Dj Shadow mischiato a dinamiche techno (in into the trees), la "techno intelligente" degli alieni di casa warp.
Un genio, si potrebbe pensare... ma niente affatto. Il voler spaziare in tanti territori fa si che difatti la musica resti sostanzialmente algida, ghiacciata, fredda e frigorifera. Mai si apre totalmente ad una visione più umana, resta distaccata. Ascoltate l'ultima traccia e lo capirete subito. Non solo è una sessione di piano che potrebbe essere stata fregata ad un Aphex Twin in vena sentimentale, ma pure ti provoca una sensazione di deja-vu che mina la spontaneità di tutto il lavoro. Insomma, bravo Trente, hai fatto di tutto di più, hai mischiato mille generi nel nome del minimalismo. Però la prossima volta che fai un disco non avere davanti l'immagine della copertina...vattene in Messico, capperi!!! Stiamo aspettando tutti un capolavoro...
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