Mi sono avvicinato a questa (pressochè sconosciuta) band per un motivo un po' particolare... infatti uno dei chitarristi della band, Josh Seipp-Williams, ha fatto parte nientepopodimeno che dei Maudlin of the Well, che sono una delle band che più apprezzo. Da qui il legame e l'ascolto di questo disco, primo e (per ora) unico atto di questi cinque ragazzi (Blake alla voce, Mark e il suddetto Josh alle chitarre, Chadd al basso e Jake dietro le pelli).
Disco che, fin dall'inizio, si promette di essere una efferata garognola di colpi di mitragliatore, sparati uno dietro l'altro, senza respiro, morbosamente ossessivi come può esserlo solo il grindcore più malato. Il disco parte bene e prosegue meglio, grazie alla varietà del sound dei nostri, almeno rispetto al gruppo grindcore medio: fra blast beat velocissimi, stacchi concitati e precisissimi, rallentamenti improvvisi, la band è capace di un eclettismo spaziante dallo sludge fino al death metal che in molti frangenti ricorda i buoni (e decisamente simili) Pig Destroyer.
Naturalmente (anche se ci speravo) il fatto che Josh avesse militato nei MotW non vi autorizza ad aspettarvi un Leaving your Body Map in versione grindcore (anche se sarei curiosissimo di sapere come potrebbe suonare), anche se, in certi momenti, troverete certe dissonanze e fraseggi curiosi che potranno ricordarvi la magica ensemble (su tutte Witch Sister) e soprattutto i momenti più lenti (d'atmosfera?) dove avrete l'innegabile sensazione che i riff vi stiano colando nel cervello, per la loro megatonica potenza.
Menzione d'onore alla voce, mai troppo hardcoreggiante né troppo growleggiante. E soprattutto di grande effetto nel rendere ancora più claustrofobico l'effetto finale: da orgasmo quel "Fire!" ripetuto fino allo sfinimento nell'imperdibile Rust in His Sleep: parte da una velocissima ripartenza deatheggiante, per poi dilungarsi su un riff quasi melodico (!!), attacchi di puro e rabbioso grindcore, dilungamenti tribali a-la Neurosis, e il magmatico, granitico incedere dell'ossessivo riff su cui il buon Blake urla in modo profetico, quasi ascetico, puramente nichilista, il suo urlo: ossessivo, eppure umano, ferito quanto assassino, mostruosamente lucido eppure incredibilmente istintivo ed inconscio; tutto questo in 185 secondi. Puro manifesto del grindcore.
Curiosità: a chiudere il disco c'è una cover dei Bauhaus, fra l'altro di Double Dare, opener del fortunato In the Flat Field. Curiosissimo l'incrocio fra il sound dei Triac (non sto a ripetervelo) e il dark-punk-glam ottantiano dei quattro orrorifici inglesi.
Chiudendo i conti, questo Dead house dreaming è un disco sincero, gradevole, potente, ossessivo e preciso. Di sicuro impatto. Obbligato per gli amanti del grindcore e per le teste scapoccianti in generale. Gli altri lo troveranno ancora un lavoro ben fatto e sicuramente degno d'apprezzamento.
7+
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