A volte capita che band di grosso calibro o che hanno arricchito e definito un genere musicale, "spariscano" o escano fuori dalla scena come se niente fosse. I Tribal tech sono uno di questi. Tutti ricorderanno questo straordinario quartetto con a capo il mitico Scott Henderson alla chitarra (poliedrico musicista nonché collaboratore di moltissimi nomi della scena fusion) e Gary Willis completo e preciso bassista. I due sono coadiuvati niente meno da: Scott Kinsey alla tastiera (che ritengo essere uno dei tastieristi più avanzati e dal voicing lineare ma studiatissimo, grazie ai suoi insoliti giri armonici) e Kirk Covington alla batteria, uno dei più richiesti session-man, vedi collaborazioni: Joe Zawinul, Allan Holdsworth, John Humphrrey; mica niente!
"Face First" datato 1993, pur non essendo un album facile all'ascolto, ci indica in maniera eccellente le grandi diversità presenti in questo gruppo e anche le varie sfumature. Questo perché un lavoro dei Tribal Tech è quasi impossibile catalogarlo in un singolo genere, essendo una miscellanea, di un modernissimo funky sound, di una fusion divertente e dirompente e anche da un mood blueseggiante per quanto riguarda i passaggi più "prevedibili".
La bravura del gruppo sta nel "giocare" con tutte queste costruzioni, divertendo e anche incuriosendo l'ascoltatore, a volte incaponito a cercare i confini sonori tra tutto ciò. Il risultato è che la band è stata una delle realtà più fresche e intelligenti del panorama fusion moderno.
Ma finendo con le lodi, passiamo all'ascolto dei "quadri" sonori di questo album.
La titletrack è un elasticissimo funky a tempo misto che alterna fasi fortemente sincopate, a quelle con molte pause tipicamente fusion. Notevole è come gli strumenti insistono sullo stesso tema, Willis si cimenta in una complicatissima ma allo stesso tempo quasi scherzosa linea di basso, piena di ghost note che la fanno sembrare "zoppicante".
"Canine" presenta una tempesta di ritmi stoppati, a partire dall'intro di basso "palmeggiato". Ad un certo punto il pezzo assomiglia molto ad una "Opus Pocus" soprattutto in certi passaggi solistici. In "Revenge Stew" è presente un intro addirittura country, che pian piano viene "smaterializzato", aggiungendo dissonanze varie e figurazioni ritmiche minori. Strada facendo il brano cambia lentamente faccia, entrando in territori "pentatonici"per niente banali e scontati.
"The Crawling Horror" ci colpisce subito per i continui richiami al sound Weather Report. Gli strings campionati, sono una base perfetta per la distorsione calda di Henderson, che insieme alla batteria esegue continui "strappi" molto interessanti. Ancora degno di essere citato lo strambo walking bass di Willis a tratto miagolante e quasi patetico. "Wounded" l'ultimo brano, incombe con un sinistro e inaspettato tappeto di tastiere. Il ritmo stranamente è rallentato quasi per farci scordare la furia dei precedenti pezzi. Pur non avendo un grande arrangiamento, il pezzo ha un notevolissimo crescendo, anticipato dal coccolante e rassicurante solo di Willis, per poi sfociare negli astratti intervalli chitarristici, ma non raggiungendo mai una quota massima, poiché il mood del brano rimane sempre sospeso e indefinito ricordando molto i passaggi Holdsworthiani. Sicuramente la traccia più distante dal sound di questo disco.
Il gruppo si scioglierà 7 anni, ovviamente lasciandoci con l'amaro in bocca, ma con la promessa di ognuno dei membri di continuare con la bellezza e la saggezza musicale tipica di questa grande band. Alla prossima. UH... Yeah OK.
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