Questo è un album che vive essenzialmente di due anime diverse, che spesso restano separate, ma quando vengono a contatto esplodono dando vita ai momenti migliori di tutto l'ensemble. L'anima più violenta è affidata alla voce screaming e alle chitarre taglienti come mai in passato, a dimostrazione del fatto che nel sound dei Tristania sono sempre stati presenti elementi death, ora come non mai. La seconda è quella maestosamente dolce, eterea (a volte quasi rarefatta ed impalpabile), segno che la malinconia non scaturisce dal nulla (o dalla sola voce femminile - cosa che molte band odierne sembrano pensare) ma va cercata nel profondo, e non sempre si riesce a percepire (il tutto va dunque a discapito delle tastiere, ma la scelta è necessaria a rendere più complesso il carattere generale dell'album). Ecco la sostanziale differenza con gli altri album: le sensazioni qui vanno cercate, capite ed assimilate. "Ashes" è dunque l'album più difficile della band, non colpisce subito, ma deve essere compreso. E oserei sostenere che questo sia anche il loro lavoro più oscuro, poiché lontano dai toni romantici e crepuscolari dei lavori precedenti, ma molto più psicologico ed inconscio.

Tanti spunti di riflessione (com'era già successo per il lavoro precedente) dunque, che hanno portato in molti a giudicare quest'album approssimativamente, senza lasciargli l'opportunità di dire veramente qualcosa, ponendo l'accento sul fatto che esso perda la sfida con "Window's Weeds". Ma non si può giudicare una band in virtù di un tempo passato - che è del tutto finito, e non rivive di certo nelle mille band clone - e di un capolavoro assoluto quale quell'album.
Eppure questo è pur sempre il caro Gothic metal, quello così raro, prezioso e raffinato che solo i Tristania sanno suonare. E la forza di questa band sta tutta qui: quella di far continuare a vivere un genere, renderlo dignitoso davanti a tutta la spazzatura che circola al giorno d'oggi, e che lo ha reso la frangia più insulsa del metal.

È vero, innegabile, che questo "Ashes" non raggiunge i livelli di "Window's Weeds" e "Beyond The Veil" e che è perfino diverso dal bistrattato "World Of Glass"… ma tutte queste perle si incastonano in un unico gioiello: la musica di questa grandissima band, che per l'ennesima volta ha suggellato la propria singolare grandezza, dimostrando che la classe oggi è merce rara. Un plauso speciale va a Vibeke, che in questo disco ci dimostra che non occorre usare registri altissimi per dimostrare la propria bravura; interpretare brani come "Cure" in una maniera come la sua non è da tutte. A volte anche con un filo di voce si possono regalare grandi emozioni, e questo conferma Vibeke la miglior voce femminile nel Gothic Metal (considerando comunque la svolta poco metal di Anneke Van Giersbergen e dei suoi The Gathering e la strada pop intrapresa da Kari Rueslatten, ineccepibili e sicuramente un gradino sopra).

Nomi come il loro sono destinati a passare alla storia, e il sottoscritto pensa che la loro possa durare a lungo.

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