Sembra ormai un filo che lega le sorti delle più belle voci femminili della scena metal. Dieci anni di attività dopo i quali si finisce per porre fine alla propria carriera, o per proseguire il proprio discorso musicale seguendo altri sentieri. Decisione nella quale è inceppata ultimamente (la notizia dell'abbandono risale alla fine di febbraio) perfino la divina ed inarrivabile Vibeke Stene, colei che è stata il principale modello per molte cantanti, che ha accompagnato gli adepti del gothic metal in luoghi fantastici ed onirici, sospesi tra antichità ("Widow's weeds") e futuro ("World of glass"). "Illumination", recente pubblicazione in casa Tristania, è stato il suo canto del cigno, senza ombra di dubbio la sua migliore prova in studio, ma purtroppo anche l'ultima con il gruppo. A causa della sua decisione di dedicarsi ai propri studi ed alla carriera come insegnante, il posto che con grande dignità la cantante ha occupato per due lustri è oggigiorno vacante. Ed è un vero peccato che nessuno, ad esclusione di pochi fortunati, abbia avuto l'occasione di ascoltare questi pezzi cantati da quest'angelo corvino in sede live, perché le sue prestazioni per quest'album si sono spinte oltre il consueto, e sono sicuro che nessuna subentrante sarà in grado di eguagliare la maestria dimostrata da questa ragazza. Un dolore che potrà essere colmato da un fan soltanto attraverso la consapevolezza di avere tra le mani l'ennesimo gran bel disco, l'epitaffio di una carriera splendente ed onesta. A prescindere dai sentimenti, quanto accaduto rappresenta per la band norvegese un sicuro colpo duro, l'ennesimo da quando, dopo l'abbandono di Morten Veland, la fortuna sembra averle voltato le spalle, tant'è che le ultime release, nonostante l'alto tasso di innovazione di cui trasudavano, non sono state proprio ben accolte da critica e fan.

Come spesso accade quando una band compone un capolavoro, tutti finiscono, nel bene e nel male, per ricordare solamente quell'unico disco, considerando il resto della discografia inferiore ed a volte addirittura brutto. È quanto successo ai Tristania: l'unica "colpa" della quale si sono macchiati in questi anni è stata infatti quella di aver composto l'opera magna di un genere, tuttora inarrivabile ed impressa nella memoria comune. Ma un ascoltatore serio deve sempre essere in grado di astrarre il passato dal presente, e di valutare una band seguendo la sua naturale evoluzione temporale. Ed al giorno d'oggi è da ritenersi una grande fortuna il solo poter parlare di un gruppo in termini di sviluppo ed innovazione, dato che il 90% dei musicisti, soprattutto di quelli che calcano la scena del gothic metal, non fa che ripetere alla noia cliché che lasciano ormai il tempo che trovano ed una nauseante puzza di stantio alle spalle. Non credo che certe proposte abbiano più alcun fascino sugli ascoltatori, ad esclusione dei teenager che si tuffano nel mondo della musica oscura per fare gli alternativi. C'è dunque la necessità di una parola d'ordine: innovazione, e di fronte a quest'album posso dire di sentirmi appagato; l'inizio del 2007 ci ha già regalato un grande disco. Certo, "Widow's weeds" è ancora immobile sul suo trono, ma nessuno sentiva il bisogno dell'ennesima copia sbiadita.

"Illumination", sin dal titolo, dichiara di vivere di luce propria, denota una rinnovata verve compositiva, un affiatamento assoluto tra componente canora e musicale, oramai sempre più distanti dai canoni metallici, che tuttavia non sono stati traditi. Per la registrazione sono stati coinvolti nomi di punta come quello di Waldemar Sorychta, colui che a lavorato dietro alla consolle e plasmato il sound di numerose band, quello Vorph dei Samael a ricoprire le modiche parti di cantato in growl presenti nelle dieci canzoni del lotto, nonché quattro musicisti classici che hanno donato linfa vitale alle aperture sinfoniche di alcuni brani. Il passato della band si fonde (forse grazie all'esperienza ultradecennale di tutte le menti che hanno preso parte alla composizione) con le reminiscenze moderne di illustri colleghi (Moonspell, Type O Negative, Lacuna Coil, Tiamat), allaccia i registri lirici di una vera cantante d'opera ad una voce maschile austera e baritonale e flirta con divagazioni trip-hop e velleità futuristiche (i Portishead sono dietro l'angolo). Per quanto riguarda il mood emanato dai brani vale la pena constatare come sia sparita la delicata ma sfinente sensazione di lento deperire che aleggiava in "Ashes", per lasciar spazio ad uno spettro di emozioni ancor più ostico ed impalpabile. Alcuni hanno definito quest'album solare, ma le atmosfere emanate non sono per nulla allegre; gli scenari sono apocalittici come ai tempi di "World of glass", ma ogni emozione resta in bilico, dichiarando la necessità di un'esegesi personale. La mia interpretazione ve lo mostra sotto l'aspetto di una tragedia che si consuma pian piano, nel cuore e nell'anima, sfiorandoci vellutatamente tra un brano e l'altro e concedendo qualche spiraglio alla luce di un sole novembrino, lasciando emergere soltanto alla fine del viaggio la più ardente passione ed un sentimento vero e proprio: quello dell'agognata libertà nei confronti di un passato doloroso, dell'abbandono di una vita di rimpianti.

Non scandalizzatevi se l'opener "Mercyside" non riuscirà quasi minimamente a stupirvi; si tratta della traccia meno rappresentativa del nuovo corso intrapreso dal combo norvegese ed è sicuramente uno specchietto per le allodole, un contentino per gli ultimi arrivati imposto dalla casa discografica, che non manca tuttavia l'obbiettivo di coinvolgere l'ascoltatore. Saranno però le tracce successive ad esplodere in tutta la loro bellezza. Il vostro bisogno d'oscurità sarà così appagato dalla seducente perdizione di "Sanguine sky", dalla rabbia decadente di "Open ground" (vero e proprio cammeo per la voce da brivido di Vibeke Stene, culmine della tensione che il sound moderno e tagliente delle chitarre riesce a mantenere costante per quasi cinquanta minuti), dalla rassegnata malinconia di "The ravens" (graziata dai graffianti scream di Vorph in duetto con misteriosi cori femminili), prima che le vostre membra trovino riposo e conforto nei meandri liquidi e sinfonici, sospesi tra ricordi gioiosi e mestizia, di "Destination departure", ennesimo capolavoro d'interpretazione per la defezionista singer. Con "Down" si torna a muovere la testa; le ritmiche sono molto moderne e ricordano i Lacuna Coil, ma il ritornello è sempre più lirico ed è l'impeccabilità della proposta dei Tristania a distinguerli dalla band italiana: qui non ci sono buche, intoppi o cedimenti di alcun tipo. Mi preme inoltre sottolineare l'estrema versatilità di Østen Bergøy, aggressivo come non mai in questo brano, e l'efficacia delle distorsioni applicate alle chitarre. L'oscura cantilena di Vibeke posta in chiusura lascia poi spazio a "Fate", canzone pacata e notturna e completamente affidata all'impeccabile interpretazione del male singer. Per fortuna il soprano non ci abbandona e ci travolge con irruenza in "Lotus", canzone notturna e filante nelle strofe ma aggressiva e "rockeggiante" nel refrain. Molto bello il sovrapporsi di chitarre e tastiere nell'intermezzo. "Sacrilege" potrebbe essere un rimando a "World of glass", ma è addirittura più attuale nel sound. La sovrapposizione di archi e chitarre è alienante come al cospetto dei migliori act elettronici. Una menzione particolare va fatta anche al testo, un chiaro affronto alla gerarchia ecclesiastica ed ai suoi insegnamenti travianti ed abbuianti. Eccoci infine giunti al vero capolavoro del disco: "Deadlands", una mini suite fatta di archi, chitarra acustica ed una voce che commuove senza la minima difficoltà nell'elegante unicità che la contraddistingue, nella sua straordinaria bravura.

Il canto del cigno di Vibeke non poteva essere più epico e leggiadro, speriamo soltanto che Anders, Einar e compagni sappiano tornare in carreggiata con determinazione e che non cerchino una clone in colei che dovrà assumersi l'arduo compito di sostituirla. Per quanto mi riguarda, sono molto fiducioso: nonostante i sempre più numerosi detrattori, loro si dimostrano anno dopo anno sempre più all'altezza del nome che portano, con album innovativi, di difficile fruizione e sempre diversi. "Illumination" è la consacrazione definitiva dei Tristania nell'olimpo del gothic metal.

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