Difficilissimo.

E' difficilissimo identificare e inquadrare perfettamente l'arte di questo cineasta taiwanese di origini malesi. Difficilissimo esporsi al suo fascino e al suo cinema senza esserne toccati nel profondo dell'anima. Perchè cinema come quello di Ming Liang non si è mai visto: le sue sono storie di vita stranianti e malate, perse nel crogiuolo di ritmi, suoni e colori di una metropoli come Taipei, dove ogni individuo cerca la propria compiutezza senza (il più delle volte) riuscirci. 

Storie di corpi soli, vuoti ed eterei  immersi in una città desolata dove la ricerca dell'amore, o meglio del sesso senza amore, sembra essere l'unica via di fuga dalla vacuità, ma alla fine si scopre di essere più tristi e vuoti che in precedenza. Un pessimismo che resta in superficie e che da sempre contrasta le stranianti opere di Ming Liang: dallo splendido "The Hole", storia di due inquilini di uno stesso condominio che si innamorano attraverso un buco causato dalla negligenza del sistema idraulico al più giocoso "Il Gusto Dell'Anguria", pornografia, ma non solo dei corpi, della merce del sesso, ma anche dell'anima. E come dimenticare il malato "I Don't Want To Sleep Alone", il freddo e glaciale, ma sospeso "Che Ora E' Laggiù?" e il testamento d'amore verso la settima arte di "Goodbye Dragon Inn"? 

E "Vive L'Amour"? Il testamento, il cuore di una filmografia che lo lancerà verso l'Occidente e il riconoscimento mondiale.
Un film splendido che vive di inquadrature rigorosamente fisse, con un'attenzione maniacale per gli ambienti e per i corpi in cui vivono in quegli ambienti.

Storie vere che si intrecciano come una spirale di sensazioni e umori: un uomo gay che lavora in un negozio di urne funeree e che si appropria di un appartamento vuoto, che dev'essere venduto da una bellissima venditrice di case, che si innamora di un venditore ambulante di vestiti. L'appartamento diviene il fulcro di questo intreccio devastante, poichè il protagonista aveva pensato di farla finita proprio in quel luogo strano e silenzioso, senza contare che sarebbe diventato il luogo di ritrovo della venditrice e del venditore per le loro effusioni...

Tre non-storie che continuano ad intrecciarsi con un continuo avvolgersi, silenziosamente. Il tutto senza una parola di troppo, senza un dialogo superfluo, senza un'inquadratura superflua. Nessun colpo di scena, nessuno svolgimento vero e proprio.

Tsai Ming Liang riesce a creare il cinema con il nulla. La bellezza con la vacuità.

Cinema forte, vero e vitale, che ben si distacca da ogni presupposto cinematografico.

La bellezza di ciò che è crudo, puro e solido in questo mondo. Dove il pianto di una donna non viene glissato, ma sparato nell'intestino dall'inizio alla fine della sua disperazione, in un crudo, crudissimo pianosequenza finale.  Laddove il cinema non osa avvicinarsi, per non devastare ogni stabilità emotiva, Tsai Ming Liang oltrepassa il limite con destrezza, senza il timore di far provare allo spettatore estasi al posto di gioia e disperazione al posto della tristezza. Alla fine persino gli spettatori stessi sono i personaggi del suo film. Persi in un fiume di lacrime che non si conclude, nemmeno dopo i titoli di coda.

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