Più di mille anni fà, quando in Europa Meridionale si avvertivano i postumi dell'ormai defunto Impero Romano e la cristianità aveva ormai già fatto ben presa sulle genti di allora, il Mondo "civile" prese a conoscere il turbinio e la ferocia di guerrieri barbari che ruzzolavano in orde senza fine dai freddi, misteriosi (perché ancora non ben conosciuti) e lontani territori del Nord.

Erano guerrieri senza scrupoli e senza nessun impedimento che non fosse la loro intraprendenza a guidarli: arrivavano all'improvviso, spesso via mare, su quelle loro pittoresche e veloci navi, approdavano in qualche cala, e prendevano a saccheggiare e a depredare tutto quello che c'era da depredare in giro. Monasteri, villaggi, castelli, cittadine. Si lasciavano dietro nient'altro che rovine ed incendi. Andavano vestiti in una foggia sconosciuta per l'epoca. Si coprivano di pelli ed impugnavano spade ed asce dagli intarsi d'argento finissimi, cavalcavano per giorni e giorni senza mai stancarsi, e quando scendevano in battaglia o più sovente per razziare, andavano coi volti dipinti ed emettevano latrati ed ululati che al solo sentirli s'accapponava la pelle. Raramente gli eserciti di allora riuscivano a tenergli testa. Tutti avevano una paura fottuta di quegli uomini che combattevano a dorso nudo e che si sporcavano del sangue dei loro nemici che spesso, poi dopo esser stati trucidati, venivano esibiti sulle picche dei loro stendardi come trofei. Si muovevano senza un piano preciso, guidati da un condottiero fiero e baldanzoso che doveva saperne più del diavolo, visto che doveva essere un ottimo ammiraglio per le navi, un grande generale nei campi di battaglia, un buon capo negli insediamenti che si costruivano, un giudice imparziale ed un sacerdote infallibile. Tutte caratteristiche che già di per sé dovevano far di questi uomini dalla scorza dura degli straordinari personaggi. Gente che oltre a guerreggiare quando c'era da guerreggiare, sovente metteva in mare la nave ed alzava l'ancora per andare un pò dappertutto: lungo i paesi Scandinavi soprattutto, ma pure in Europa per cercarsi il necessario "spazio vitale", arrivando, si dice, persino in Sud Africa e forse, decine di anni prima di Colombo, anche in una terra che loro chiamarono "Vinland" e che più o meno dovrebbe corrispondere alla costa nord-occidentale dell'America.

Un raggruppamento di questi baldi e coraggiosi uomini Vichinghi, un giorno, guidati da un caperonzolo locale, Rurik, che ne raccolse attorno a sé 501, presero, anziché la via dell'Ovest, quella dell'Est, e si spinsero per le pianure selvagge e steppose del centro Europa, arrivando a colonizzare interminabili terre spazzate dal vento e dalla neve, attraversando i monti Urali, per discenderne poi fino alle coste del Mar Nero e a stanziarsi poi nei territori dell'Impero Bizantino, che, molto furbamente, approfittando del fatto che questi "Variaghi" (così era denominata infatti la loro stirpe), oltre ad essere temibili guerrieri erano anche degli abili commercianti o comunque dediti al guadagno oltre ad ogni cosa, li assoldò prima come mercenari ed in seguitò li fagocitò nelle sue spire. Re Rurik, non contento però del trattamento riservato ai suoi uomini, che considerava né più e né meno che dei venduti, risalì il cammino che aveva già una volta percorso, si stanziò in un'ansa ospitale vicino ad un lago che si ricordava d'aver scorto lungo il suo precendente passaggio, e si mise ad organizzare la vita del suo villaggio, che in breve diventò tanto popoloso, anche per via delle geneti indigene ridotte al vassallaggio dei luoghi, che si costituì in regno, diventando poi il territorio della Grande Russia odierna.

Tutti questi fatti sono Storia, che i Turisas, band finlandese dedita ad un connubio tra un Power sinfonico e pomposo ed un aggressivo Metal estremo che in sé ha i germi del Death/Black più canonico, fino a sfociare in spunti di Thrash cazzuto e ben eseguito, che poco ha da invidiare ad altri loro colleghi dello stesso ambito, ci narrano nel loro album a tema "The Varangian Way".
Dunque in questo album si possono ascoltare ottimi esempi di Viking ben suonato, bene eseguito e strutturalmente corposo e potente, accompagnato da parti sinfoniche e barocche ridondanti ed epiche, che tanta fortuna hanno dato ai Therion, solo per fare un esempio.

Per quanto riguarda i brani, ci troviamo a mettere a confronto strutture strumentali con pochi fronzoli, e ne sono esaustivo riferimento la mancanza sia di prologhi che di monologhi. Canzoni cazzute che faranno la gioia di molti, con ritornelli orecchiabili che infondono adrenalina ad ogni poro, e che molto concedono, ai più sensibili ascoltatori s'intende, agli svolazzi fantasiosi ed epici.
Di questi tempi, infatti, ascoltare canzoni come "To Holmgard and Beyond", vero e proprio brano da classifica (provare per credere) o "A Portage to Unknow", è davvero un piacere sopraffino, arrivando addirittura, dopo averli esauriti, ad aver voglia di prendere la cotta di maglia arrugginita e la spada cesellata comprata su internet per andare a combattere. Contro chì, di questi tempi, è inverosimile immaginare, con grande scorno dei carabinieri che vi correranno appresso e che non sapranno di che sedizione si tratti.

E' vero, non c'è proprio nulla di nuovo in questo album, se non il talento di questa band che con soli due album, questo ed il precedente "Battle Metal", si sta ricavando una fetta di seguito che molti le invidiano, a partire da colleghi a questa simili che invece ci stanno mettendo anni ad imporsi.
Forse la chiave di lettura per capire il gran successo che stanno avendo questi Turisas è insita proprio nella loro alfine semplice attitudine alla musica, cosa che va in controcorrente all'ampollosità e alla poca, e forse voluta, immediatezza degli archetipi da pentagramma. Più le canzoni, infatti, vogliono essere intricate, più risultano essere orecchiabili, fino ad arrivare, nel caso presente, all'orgia di suoni data in un brano come "In The Court of Jarisleif", dove un violino elettrico ed isterico, dipinge un'atmosfera zingaresca e magica, in un'ambientazione medioevale che si ficca senza tanti complimenti in testa, senza nemmeno il bisogno di dover chiudere gli occhi per immaginarsela.
Magari pure questo è un limite. Magari tutto il mistero, il "filo nero" conduttore di certi generi di musica, quì è mostrato alla luce del sole e potrà apparire meno affascinante di quello che è, eppure vi posso assicurare che, a volte, è pur sempre bello invaghirsi di queste cose, senza dover ricorrere ai reiterati ascolti di un disco per poterne ricreare una propria sinossi. E se lo dice uno come me che sul comodino di casa ha i santini dei Therion e degli Opeth in bella vista, credo che possiate credermi.

Per una volta, quindi, lasciatevi ammaliare. Lasciatevi guidare nel viaggio che è partito dalla Finlandia, ha percorso migliaia di chilometri e chilometri, ha attraversato il Mar Nero ed è arrivato sino alla corte di Costantinopoli, alle porte del Mondo civile, con quel senso di conflitto e di guerra, che per esempio i Turisas vogliono esplicare in un brano come "Cursed Be Iron", o con la descrizione delle insidie sul cammino in "The Dnieper Rapids". Pura e semplice voglia di scoprire, di andare, di combattere e di costruire la storia. E, al di là di tutti quanti i meriti e i demeriti di questa band, bisognerebbe ringraziare per la propria innegabile intelligenza.

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