I Turnover da Virginia Beach erano un'onesta band di mestieranti emocore melodici. Ora sono uno di quei gruppi sotto Run For Cover che non si sa bene cosa siano e cosa stiano facendo.
Se le melodie facessero presa, se il batterista facesse tum-pa-tum-tum-pa e rullatone, se le strutture si svolgessero in due minuti di facile acchiappo; se ci fosse uno straccio di distorsione cristo, sarebbero un gruppo pop punk.
Se le chitarre non facessero così merda che sembrano entrare dritte col jack in scheda audio e poi effettate coi riverberi di GarageBand; se ci fosse un tremolo giusto, un briciolo di fuzz; se la voce non fosse così avanti col riverbero tutto artificiale, con quelle armonizzazioni idiote tipo in Like Slow Disappearing, potrebbero fare shoegaze.
Se facessero ballare un po' i piedi, sarebbero tipo indie. Se ci fossero emozioni, sarebbero emo.
Se ci fosse almeno una canzone, una, avrebbero comunque senso.
Però bisogna riconoscere che l'energia potenziale non gli manca. E neanche le belle magliette e i bei cappellini.
Ecco, la sensazione è che la Run For Cover abbia schierato un bell'esercito di billy boy, buoni per fare l'endorsement a qualche etichetta da skater borghesi. Gruppi scialbi che se li ascolti sei della scena, ma poi in realtà "cantami un pezzo" ed è subito panico. Inutili, noiosi, fastidiosi.
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