Un altro piccolo gioiello della California anni '80. Dopo gli X, questa settimana ci spostiamo da Los Angeles a San Francisco. Siamo nel 1981, ma la prima cosa che ci balza in mente, riascoltando "Desire" è il "Tempo fuori luogo" (citando Dick) di quest'opera. Che poi, tra parentesi, e scusatemi se divago, è un po' la sensazione che ci infonde tutta la migliore new wave. Come una frattura dei canoni spazio-temporali a cui siamo abituati. Anche a distanza di tantissimi anni, i migliori dischi di quell'epoca, sembrano infatti sempre inattuali, come proiettati da un altro mondo, originali e nel contempo con meno influenza negli anni a venire di quella che hanno avuto molti gruppi dei '60 e '70. Avete mai letto una recensione in cui qualcuno abbia detto: "Questi assomigliano ai Tuxedomoon" o qualcuno che li abbia citati come loro influenza? Eppure, credo che tutti quelli che abbiano avuto la fortuna di ascoltarli, li portino ancora nel loro cuore.

Dunque cosa suonano esattamente Tuxedomoon? Musica obliqua. Sfuggente. Affascinante.

La batteria elettronica detta i tempi assieme ad un basso profondissimo, giri circolari che raramente si erano sentiti prima (forse nei Can). Su questa base si innestano talvolta un violoncello, molto spesso un sax. La voce inquietante di Winstong Tong declama litanie più che cantare: in "Victims Of The Dance" pare quella di un ubriaco, in altri brani un David Bowie in acido. Le tastiere avvolgono il tutto, ma se ogni tanto sono liquide e "nonewyorkesi", altre volte paiono incessanti e disumane (userei il neologismo "disnumanizzate"), altre volte ancora sprofondano nella reiterazione a tal punto, che il pensiero non può non correre a Philip Glass.

Assommato il tutto, cosa ne risulta? Sicuramente può essere un azzardo, ma provate a pensare a Maurice Ravel catturato da un'astronave, portato su qualche lontano pianeta e rilasciato alcuni mesi dopo con una tastiera Casio come ricordo. La musica dei Tuxedomoon in "Desire", che è un momento di passaggio dall'elettronica geometrica del primo disco "Half Mute" all'acustico di certe opere successive come "Suite En Sous-Soul", riesce a fondere appunto elementi di elettronica ed acustica, avanguardia e classica, scenari industriali americani fordisti e decadentismo europeo inizio secolo scorso, come credo pochi altri siano riusciti a fare negli ultimi trent'anni.

Il titolo del disco, particolarmente azzeccato, in quanto la musica dei Tuxedomoon appare sospesa in un punto ed in un momento che non è altro che l'attesa, ed il desiderio, mi invita a formularne uno: sarà mai possibile vedere un film tratto da un'opera di Dick con la colonna sonora dei Tuxedomoon? Sarebbe fantastico.

Tanto per annoiare, ma vi prometto che non li recensirò tutti, anche questo è nei cento dischi che salverei dal diluvio universale.

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