Sembra strano affrontare un argomento come quello di cui mi accingo a trattare, in una sede come questa.. Eppure mi abbandono alle pulsazioni del momento, troppo forti.. Intense..
Ascoltare "Half mute" dei Tuxedomoon impone ad una mente sensibile ed incline ad allontanarsi dalle strutture logiche del pensiero, una trattazione che sfugga nel suo scorrere tanto allo scrittore quanto al lettore. Questo capolavoro, impossibile definirlo diversamente, non si offre a recensione alcuna... il suono infatti oltrepassa la propria struttura sintattica, torna al proprio stato geroglifico, uterino.
Al primo ascolto si resta intorpiditi da un inseguirsi di gemiti, ora profondi e quasi iracondi, ora raffinati e tesi alla sublimazione del'inorganico, in un un gioco perso nella contemplazione allucinata di ciò che non è mai stato. Il cristallizarsi della vertigine impone una analisi sul concreto rapporto tra arte e vita. Ogni istante, ogni singola nota non si esprime in codici di significazione, bensì in movimenti intesi in termini di dispersione di tempo ed energia.. Ogni battito di questo cuore aperto consiste in un raccoglimento che si coagula tra la stasi e la convulsione, il piano ed il baratro. Il gioco che sottende a questa serie di percezioni si perde in ciò che è l'uomo realmente; si confonde alla vita, è esso stesso vita in quanto gioco. Scrivere di un'opera d'arte di tal genere provoca dolore.. questo lavoro è dolore!
Le canzoni sono, tutte, una sorta di ritorno al limbo da cui si proviene, che ci visita, ma che non si è mai visitato. I quattordici pezzi che compongono questo mosaico, aureo anagramma di ricerca artistica e sonora, si dipanano lungo una spirale di velluto.. ci conducono alla Terra di un retromondo kleeiano da cui non si può far ritorno. I suoni sono riproposizioni di una tensione nervosa mai del tutto consumata che penetra le più remote istanze mistiche e rituali della vita. La misticità cui mi riferisco, si badi, non ha però alcun significato cristiano. . . è semmai l'eco lontana di una ritualita mitica, oscena e crudele. La nevrosi che sprizza sanguigna da questi granitici monoliti, che non si può considerare "CANZONI", è agghiacciante. Derrida, nella prefazione a "Il teatro e il suo doppio" di Artaud considera il teatro della crudeltà come impossibile "a venire". Ebbene se non si dà teatro artaudiano, può esserci superamento e tramonto di esso.
E' dunque questa la sensazione che si riceve assistendo alla MESSA-IN-SCENA di questa opera cruda e CRUDELE, di questo dramma glaciale.. messa-in-scena cruciale dello s-venire alla luce del nostro giorno, iniziale.. finale.
Impossibile catalogare, amare o odiare... vivere, volare... nel silenzio di un vuoto;nella mancanza di senso di una vita.. la nostra
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