Tweaker è il monicker dietro il quale si nasconde Chris Vrenna, batterista dei Nine Inch Nails fino al 1996 (uno dei fondatori del gruppo), e, da solista, autore di alcuni buoni album e di tante collaborazioni. Il suo "2 A.M. Wakeup Call" risente molto dell'industrial dei NIN, ma questa è solo una delle tanti fonti di ispirazione per il geniale artista. In questo suo lavoro riecheggiano infatti note di dark wave, Depeche Mode, un certo folk oscuro e minimale trip hop nero come la pece.
Il disco si può leggere come un concept dedicato ai sogni/incubi generati dalla notte, quando le persone dormono e la vita fuori assume dei connotati leggermente diversi, che subito spariscono ai primi albori. Il lavoro nasce dalle notti insonni della moglie di Chris, che puntualmente si alzava alle due in preda all'insonnia svegliando pure il marito. Non riuscendo più poi a riprendere sonno Vrenna cominciò a buttar giù quelle che erano le suggestioni che gli venivano in mente a caldo, dopo il sonno interrotto che magari era oniricamente animato (un po' un'opera psicanalitica se vogliamo quindi). Il risultato sono queste ottime dodici tracce, nelle quali il musicista si avvale della collaborazione (non sempre e solo alla voce) di altri artisti: Sylvian, Robert Smith (Cure), Clint Walsh (Juliette Lewis), e altri. Il generale mood, come si può ben intuire, è notturno e sognante, a tratti tenebroso, altre volte più malinconico perché legato a vecchi e dolci ricordi.
Will Oldham apre con la bellissima "Ruby", traccia rock in crescendo prima arpeggiata, poi esplosiva e corrosiva nel ritornello. Inserti industrial coronano un bellissimo pezzo in cui la voce del cantante fa la parte del leone, molto suggestiva sia nelle parti sussurrate che in quelle recitate, un bellissimo gorgo nero che ricorda molto quei sogni che improvvisamente si trasformano in incubi, senza soluzione di continuità precisa.
La strumentale "Cauterized" è figlia della parte più intima dei NIN, così surreale e espressiva nel suo incedere martellante e freddo. La ballata "Worse Than Yesterday" è un'altra evocativa traccia, la definirei quasi contemplativa dato il generale pathos che sprigiona. La calma notturna, le auto che lente passano per le strade, qualche passante che, solitario, corre a casa, sono queste le immagini suscitate da questo pezzo.
Gli ultimi Cure emergono da un pantano fatto di strani e contorti incubi, chiamati in causa dall'inconfondibile voce di Robert Smith in "Truth Is". Una cupa e nevrotica base elettronica fa da contorno a chitarre acide, che sfociano volentieri in inserti acustici più placidi ma di breve durata. "Pure Genius", con il meraviglioso David Sylvian, sembra segnare il lento scorrere delle ore, animata da una base ripetuta all'inverosimile sulla quale si contorce l'evocativa voce del cantante. Una specie di cupo trip hop, squarciato di tanto in tanto da rasoiate elettriche, che ben ricrea il frammentario mondo dei sogni, dove tutto e nulla ha senso.
Oltrepassati alcuni pezzi più tipicamente industrial (alcuni di essi anche molto d'atmosfera, come "2 AM") si arriva a "Sleepwalking Away". Una traccia sicuramente figlia di un certo rock cupo e rumoroso, segnata essenzialmente da bellissime parti tastieristiche (che pulsano come luci intermittenti in una profonda oscurità), chitarre potenti e massicce dall'incedere vorticoso, un drumming a tratti addirittura tribale e una voce graffiante e sofferta. Una canzone strana, affascinante e per certi versi alienante.
Si giunge poi ai due pezzi finali, due piccole gemme che arricchiscono sicuramente il disco di una componente intima e malinconica finora mancata. "The House I Grew Up In" è una toccante strumentale dai toni seppia, potente nell'evocare la tranquillità della casa nella quale siamo cresciuti, ampie stanze per un bambino piccolo alla scoperta di tutto, che si sorprende e rimane stregato dal pulviscolo che filtra dalle persiane socchiuse, reso visibile dalla calda luce del sole che sta tramontando. Una fenomenale carrellata di vecchie e ingiallite foto, un pezzo incredibile che sa creare un'atmosfera calda e rassicurante.
Il suo perfetto opposto è invece "Crude Sunlight". Il calore dei ricordi infantili ha lasciato spazio a dolorosi incubi, nei quali le pareti della stanza, prima bianche e immacolate, sono di colpo divenute grigie, scorticate e crettate. Le persiane sono rotte, non filtra più il sole ma il buio ci circonda. Il bambino è solo, smarrito in una stanza che di colpo è invecchiata, lontana dall'essere il posto sicuro e rassicurante nel quale era stato precedentemente. Avverte intorno a sé strane presenze, occhi che si affacciano dai buchi nel muro, sente freddo, e nessuno lo può consolare. La splendida e spettrale voce di Jennifer Charles ci suggerisce queste e altre oscure immagini appartenenti alla sfera di quegli incubi forse più terribili, in cui le nostre certezze, anche quelle più radicate, vengono distrutte in un colpo d'occhio. Per fortuna sono solo brutti sogni, e l'alba sarà la nostra ancora di salvezza, anche se il risveglio sarà sicuramente brusco, e ci lascerà in un certo qual modo turbati e segnati.
Un ottimo disco fatto per coloro che amano certi suoni sporcati dall'elettronica e che apprezzano i toni notturni, turbanti, criptici e enigmatici che solo i sogni e la notte ci sanno portare.
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