L'essere nato troppo tardi per potermi godere gli anni d'oro del progressive (all'epoca ero più dedito ad ascoltare lo zecchino d'oro che i Genesis o gli Yes...) avrebbe potuto essere parzialmente compensato dall'aver vissuto in prima persona la nascita del New Prog, il movimento che diede breve ed effimera nuova gloria al genere musicale da noi così amato. Purtroppo a quel tempo, pur avendo 12 anni, musicalmente parlando mi trovavo su Marte o giù di lì e mi sono perso anche quello scoprendo i Marillion solo successivamente, al tempo di Season's end. Più di una volta tuttavia mi sono trovato ad immaginare cosa debba aver voluto dire per un appassionato di prog scoprire pian piano l'esistenza di nuove band che proponevano quel genere musicale così carico di fascino e suggestione; band dai nomi strani che producevano dischi difficili da reperire (e per questo motivo ancora più ambiti...), con titoli ammalianti e copertine da sogno...

I Twelfth Night furono i primi in ordine cronologico a tenere a battesimo il New Prog, e probabilmente furono anche i più sfortunati non raccogliendo successi proporzionali al loro valore artistico (anche tra gli appassionati vengono generalmente sempre citati in coda a Marillion, Pendragon, Iq e Pallas...). Non avendo prima d'ora ascoltato mai nulla di questa band mi sono accostato a questo "Fact And Fiction" con grandissima curiosità e con la sensazione di intraprendere una sorta di viaggio indietro nel tempo. Ma iniziamo con un po' di storia. I Twelfth Night nascono nel 1978 come band interamente strumentale e vedono nel chitarrista Andy Revell la figura carismatica che caratterizza il gruppo. All'inizio la band non comprendeva un tastierista ed era formato solo da Revell, Brian Devoil alla batteria e Clive Mitten al basso. Dopo alcuni demo tape e una breve parentesi con una cantante, registrarono il loro primo LP, lo strumentale "Live At The Target". Successivamente il gruppo venne integrato da un personaggio straordinario, Geoff Mann, vero e proprio artista a 360°: poeta, pittore, cantante straordinario dal punto di vista vocale nonché incredibilmente carismatico quando saliva sul palco. Mann assieme a Mitten divenne il principale compositore della band e la sua prima prova in seno al gruppo fu il demo "Smiling At Grief". Nel 1982 uscì l'LP "Fact And Fiction" che risulta essere l'unica prova in studio con Mann dato che il talentuoso cantante decise di lasciare la band per dedicarsi meglio alla sua vocazione religiosa (in seguito sarebbe stato ordinato sacerdote) e per proseguire una parallela carriera solista (che avrebbe prodotto 4 album mentre a nome della band, con il nuovo cantante, Andy Sears, ne sarebbero usciti solo altri 2). Mann purtroppo morì di cancro nel febbraio 1993 e "Fact And Fiction" è l'album che, assieme al live d'addio "Live And Let Live", ha fatto si che il suo nome si stampasse a lettere di fuoco nel cuore di tanti appassionati di progressive.

Non si può, infatti, rimanere indifferenti di fronte alla meravigliosa opener "We Are Sane", vero e proprio classico del New Prog, nella quale la voce di Geoff Mann, qui ai massimi livelli di teatralità ed espressività, assurge al ruolo di protagonista assoluto conferendo al brano un clima allucinato e sinistro di grande effetto. Tanta meraviglia viene immediatamente bissata dall'altrettanto straordinaria "Human Being", per un uno-due da togliere il fiato. La melodia bellissima che caratterizza il pezzo viene esaltata dalla voce roca e sofferta di Mann e da un arrangiamento grintoso magistralmente condotto dal basswork di Mitten e dagli assoli di chitarra di Revell. Il finale, con quel ritornello ripetuto ossessivamente, è talmente ricco di pathos da non poter essere descritto con le parole. "This City" è un brano più breve caratterizzato da un riff di chitarra molto bello con un suono pulito e ricco di eco sullo stile del David Gilmour di “The Wall” e confluisce nel breve strumentale "World Without End" che chiudeva la facciata A del vinile originale. La title track è un brano decisamente più orientato verso il pop, un po' sullo stile dei Depeche Mode, anche se risulta comunque di un certo fascino e funziona come una sorta di "scherzo" per far tirare un po' il fiato in mezzo a composizioni di ben altro spessore artistico. "The Poet Sniffs A Flower" è il secondo strumentale dell'album e presenta una bella melodia di synth che si dipana con un delicato accompagnamento di chitarra acustica mentre successivamente il tutto si fa più tirato con un finale dominato da un aggressivo assolo di chitarra elettrica. "Creepshow", con i suoi oltre 10 minuti di durata è un altro degli highlight dell'album, graziato ancora una volta da Mann la cui voce spettrale e tormentata interpreta il brano in maniera molto teatrale conferendogli un feeling ed un fascino che ho trovato poche altre volte nelle interpretazioni vocali di altri cantanti. Ovviamente gli altri strumentisti non sono da meno e si ritagliano i loro spazi contribuendo a rendere il brano un vero e proprio capolavoro. Chiude la track list originale "Love Song", ballad di grande dolcezza e suggestione che incornicia definitivamente uno dei più bei dischi di new prog che siano mai stati prodotti.

Che dire infine delle bonus track? Sicuramente dopo brani di così grande bellezza il disco sarebbe potuto finire senza lasciare l'ombra di un rimpianto ma non può fare altro che piacere avere la possibilità di ascoltare una alternate version di "Human Being", molto più veloce di quella inclusa nell'LP e che compensa un minor pathos generale con una dose aggiuntiva di grinta e cattiveria. Interessante "East Of Eden", brano veloce più spostato sul versante pop che la band eseguì durante un'apparizione nel David Essex Show, mentre lascia piuttosto interdetti una versione "new wavizzata" della beatlesiana "Eleanor Rigby" che forse avrebbe meritato ben altro trattamento. Le altre 4 tracce sono demo version di brani che poi vennero scartati dalla track list finale del disco (tranne "Leader" che è una primitiva versione della title track) e tra tutte una segnalazione di merito va per "Fistful Of Bubbles" appropriatamente definita dai componenti superstiti della band "la loro miglior canzone incompiuta".

Come concludere questa recensione? Sicuramente sottolineando come, aldilà di ogni superlativo che può essere utilizzato per descrivere questo disco, questa volta siamo veramente di fronte ad uno di quegli album semplicemente "imprescindibili" per il progressive, nonché disco fondamentale per comprendere appieno quel fenomeno particolare che fu il New Prog inglese (e che tra i classici del genere metterei immediatamente dopo "Script For a Jester's Tear" dei Marillion o forse addirittura a pari merito con esso). Insomma avrete capito che si tratta di un album di tale bellezza che sarebbe un delitto lasciare fuori dalla vostra collezione e che vi stregherà lasciandovi, alla fine di ogni ascolto, solo la voglia di rimetterlo da capo. Per questo motivo sarà il caso che accanto a "Script For a Jester's Tear", "The Jewel", "Tales From The Lush Attic" e "The Sentinel" facciate un po' di spazio e vi precipitiate a riempirlo con gli immensi Twelfth Night!

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