Passando in rassegna i cd e spulciando nell'hard disc per tentare di compilare la playlist dell'anno, mi sono reso conto che l'album che è passato più volte dal mio lettore nel 2004 è, ma guarda un po' che peccato, del 2003: è "Three Street Worlds" dei londinesi Two Banks of Four.
Il loro nome ai più forse non dirà molto. Il progetto parte quattro anni fa, ed è questo il secondo loro lavoro; ma i componenti del collettivo appartengono alla "nobiltà" della scena acid jazz, club culture, nu jazz, dancefloor della capitale inglese, che affonda le sue radici negli ormai lontani anni '80, con gruppi jazzy ormai storici come gli Style Council e Working Week, vero crogiolo della Londra multietnica (il famoso "melting pot"), pacifista, schierata per i diritti delle minoranze, quell'aspetto della poliedrica metropoli che ha contribuito non poco a farmela amare.
Il deus ex machina dell'ensemble è Rob Gallagher, leader dei disciolti Galliano, una delle migliori band venute fuori della celeberrima etichetta Talkin' Loud di Gilles Peterson, sigillo di garanzia per tutti i lavori acid jazz e dintorni. Insieme a lui vi sono, tra gli altri, il socio alla pari, il produttore e musicista Dillip Harris e Valerie Etienne, una delle splendide voci che compaiono nell'album, vecchia conoscenza dei fan, già con i Galliano.
Gallagher e compagni riprendono il filo del discorso, coerenti con il loro credo musicale, proprio là dove era stato interrotto con la fine della stagione più produttiva dell'acid jazz, genere che comprende stili musicali diversi, aventi però come comune denominatore il tentativo di far coesistere la nuova black music (il rap, ma anche la clubdance) con quella classica (il soul, il regge) e con il jazz, in particolare.
Le novità, quindi, non sono eclatanti. I T.B.f.4 sono consapevoli che in tanti ormai hanno riconosciuto la bontà di quella proposta musicale e che molti oggi sono coloro che hanno seguito le orme di gruppi come Galliano e Young Disciples (basti pensare a tutta l'attuale scena attuale nu jazz, dai Jazzanova ai Koop, o a musicisti come Nicola Conte). Eppure essi, sostanzialmente con gli stessi ingredienti, riescono ad ottenere risultati notevoli, tra innovazione e classicità, ed il giusto equilibrio tra momenti più ritmati ed altri più riflessivi.
In "Three Street Worlds" il jazz è maggiormente presente come fonte d'ispirazione, soprattutto quello più "spiritual" della fine degli anni '60 e inizi '70, Alice Coltrane, Pharoah Sanders, Garnett, di quest'ultimo c'è anche una cover, "Banks of the Nile" ; ma c'è anche il downtempo che risalta in "Stiles" e in "Endless"; il drum'n'bass mai monocorde di "Closer", di "Rising", titoli che ricordano alcune delle più riuscite composizioni di altri "alchimisti" che cercano di giocare con le stesse sonorità e che bazzicano gli stessi ambienti, i 4 Hero.
La coerenza di Gallagher comunque andrebbe premiata; gli sforzi del suo team meriterebbero maggiore fortuna: è musica di qualità, polivalente, buona per ballare in modo intelligente ed anche d'atmosfera; soprattutto è musica che trasmette energia positiva, calore, che ti avvolge e ti porta nei fumosi jazz club di London Town.
In definitiva, è musica per conoscersi, anche in senso biblico.
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