Chi lo avrebbe mai detto che a distanza di oltre trent'anni dall'esordio qualcuno si sarebbe ancora ricordato di loro. I Tygers of Pan Tang sono stati una delle tantissime formazioni uscite a fine anni Settanta dal calderone della New Wave of British Heavy Metal, movimento musicale che prendeva il via dal crollo del fenomeno punk e che cercò di rinfrescare la vecchia tradizione tutta britannica per l'hard rock.
Alcuni di quei gruppi con gli anni sarebbero diventati degli autentici fuoriclasse (chi ha detto Iron Maiden?), altri, tra alti e bassi, sarebbero stati protagonisti di buonissime carriere (Saxon), ma di molti di questi si persero assolutamente le tracce. Angel Witch, Cloven Hoof, Holocaust, Tysondog, Grim Reaper, tutti gruppi oggi tirati in ballo solo da qualche fan-atico o il cui ricordo è legato esclusivamente ad un disco in particolare (un titolo di un album degli Angel Witch che non sia quello d'esordio?).
Nel gigantesco calderone di cui sopra tra i tanti, e tra i più promettenti, va detto, c'erano anche loro, le Tigri del Pan Tang, protagonisti, grazie ai primi due ottimi album, di un hard rock metallizzato di assoluta classe, ben suonato e personale. Apparentemente, con alle spalle dischi come "Spellbound" (1981) le porte del successo non sarebbero dovute essere aperte, ma spalancate, invece da lì a breve, anche a causa di un paio di dischi non proprio fortunati, del gruppo si persero le tracce. Senza considerare una discutibile reunion in chiave AOR a metà anni Ottanta, il nome sarebbe tornato a circolare solo nei primi anni Duemila, grazie alla tenacia dello storico fondatore Rob Weirr, ormai comunque dedito al caro vecchio heavy metal più per passione che per reale tornaconto economico. La vera scintilla però, quella che avrebbe realmente fatto ridecollare la carriera dei Nostri, ci sarebbe stata solo qualche tempo, quando venne annunciato che un giovane cantante italiano, Jacopo Meille, già dietro il microfono dei Mantra, sarebbe diventato la nuova voce del gruppo, in sostituzione dell'ennesimo defezionario. E proprio con l'innesto di Meille il gruppo riesce finalmente a trovare una nuova stabilità, non solo a livello di organico, ma anche organizzativo, con tour costanti (una volta tanto anche in Italia) e uscite discografiche di valore, che a distanza di anni hanno nuovamente donato smalto ad un nome tanto storico quanto sottovalutato.
E se Weirr e soci si godono la ritrovata popolarità con un "Ambush" fresco fresco di pubblicazione e di recensioni più che positive, è interessante, per una volta, non andarsi a riascoltare il solito "Spellbound" quanto andare a rispolverare quell'ep che ha dato il via all'attuale corso del gruppo, un'uscità minore, se vogliamo, ma comunque in tale contesto degna di nota. Ai tempi in vendita solo ai concerti e sul sito ufficiale, "Back & Beyond" ha avuto il pregio di far tornare a far circolare il nome del gruppo anche a livello discografico, dopo alcuni dischi di inizio Duemila passati piuttosto inosservati. Cinque brani per venti minuti di musica, con due antipasti da quello che sarebbe "Animal Istinct" dell'anno successivo e tre ripescaggi del periodo d'oro. Senza stare a sottolineare come i pezzi più recenti facciano la loro bella figura accanto ai classici del passato, e interessante invece spendere due parole proprio per la rilettura dei pezzi più datati. Sostenute da una formazione di professionisti di gran classe e, va detto, da una produzione ottima, pulita ma non "leccata", le canzoni acquistano una nuova linfa, anche grazie ad arrangiamenti che vanno incontro all'ugola maggiormente improntata all'hard rock di Meille, sicuramente meno "screamer" e più "bluesman" dei suoi (tanti) predecessori. Se da una parte, nell'ascoltare il disco, si sente certamente che non si ha a che fare con gli ultimi arrivati, indipendetemente dai mille cambi di organico, dall'altro è chiara la voglia di mettersi in gioco, di non andare in giro a fare le vecchie glorie ad uso e consumo dei nostalgici, ma di riappropriarsi dei momenti migliori della propria carriera e di porre le basi per una nuova, possibilmente più ricca di soddisfazioni.
"Live for the Day" apre il nuovo corso del gruppo con un hard rock potente e melodico, con un Meille che da gran prova di sè dietro il microfono, conscio che un'occasione come la sua difficilmente si presenta due volte. Il fatto che, voce a parte, i restanti musicisti suonassero insieme già da quasi dieci anni si sente, con due chitarre sempre protagoniste (anche se la coppia Weirr/Sykes rimarrà forse inarrivabile) ed una sezione ritmica di assoluto valore. "Hellbound", scheggia heavy nell'81, nel 2007 sembra essere appena uscita da un disco dei Whitesnake, con un basso sempre presente e pulsante, una volta tanto non affossato da chitarre e doppia cassa. Il ripescaggio continua con "Rock & Roll Man", direttamente dall'esordio del 1980, e "Take It", che originariamente vedeva un'altra grande ugola protagonista, Jon Deverill, altro musicista che avrebbe meritato ben altra fortuna. E alla luce del pezzo di chiusura, "Bury the Hatchet", è chiaro quale voglia essere l'attuale corso delle Tigri: se già negli anni Ottanta si erano resi protagonisti di un hard rock molto metallico, raggiunta ormai la maturità artistica ci si può spogliare delle vesti da "metallari a tutti i costi" e dare totale sfogo alla propria vena rock, anche grazie ad un cantante che ha ben imparato la lezione dei vari Plant e Coverdale, con meno chitarre heavy e più melodia.
Siamo quindi di fronte a dei Tygers of Pan Tang sicuramente diversi da quelli storici, ma di sicuro altrettanto validi e fa piacere constatare come, dopo questo disco, per i cinque sarebbe iniziata una strada inaspettatamente in discesa, costellata da ottimi album e riconoscimenti, segno evidente che, una volta tanto, passione e qualità possono pagare.
Tygers of Pan Tang:Jacopo Meille, voce Rob Weirr, chitarraDean Robertson, chitarraBrian West, bassoCraig Ellis, batteria
Back & Beyond (2007):Live for the DayHellboundRock & Roll ManTake ItBury the Hatchet
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