Dopo l'uscita dal gruppo del leggendario cantante Jess Cox, con il quale avevano registrato Wild Cats, esordio più che positivo sotto l'egida della MCA Records, i Tygers Of Pan Tang ripiegarono sul nettamente superiore Jon Deverill (proveniente dai Persian Risk) e decisero di puntare sull'aggiunta di un secondo chitarrista, per irrobustire il loro sound aggressivo e grezzo, estendendo dunque il gruppo da quattro a cinque componenti. La scelta ricadde fortunosamente su un ragazzino proveniente dagli Streetfighters, band sconosciuta ai più, dotato di un talento così straordinario che riuscì a scalzare da ruolo di lead guitarist il comunque bravo Rob Weir: il suo nome era John Sykes.
Qualcuno sicuramente più ferrato di me se lo ricorderà per la militanza nei Thin Lizzy al fianco del compianto Phil Lynnott e poi nei Whitesnake come lead guitarist nel fortunatissimo selftitled, meglio noto come "1987", ove ci regala, come altrove qui nel sito qualcuno sottolinea, la sua "personalissima lezioncina" di come usare la sei corde (!).
"Spellbound", seconda release dei Tygers, esce sotto MCA nel 1981, e, rispetto al precedente Wild Cats, ha dalla sua una delle doti indispensabili per essere un capolavoro: una maggior compattezza sonora e varietà sorrette da un'anima incredibile che sembra quasi rivivere nitidamente dal primo all'ultimo ascolto, oltre ad essere suonato maledettamente bene. Ma è soprattutto l'anima sincera che lo scuote a renderlo speciale e a farlo sgorgare fumoso e assassino dalla voce calda di Jon Deverill e dalle mani ispirate e tecniche di John Sykes e Rob Weir alle chitarre, Rocky al basso e dalle bacchette precise di Brain "Big" Dick alla batteria.
La puntina s'adagia dolcemente sul primo solco ed è già adrenalina. "Gangland", gustosa esplosione metal diretta e travolgente anche grazie al puntuale lavoro ritmico del duo Rocky/Dick, invero in stato di grazia su tutto il platter, è senza dubbio il testamento NWOBHM del combo originario di Whitley Bay, ed incornicia l'assolo più tecnico ed assassino di Sykes di tutto l'LP: iperveloce e catchy da sbalordire. Il biglietto da visita è inequivocabile: energia, velocità, chitarre ruggenti e raw and wild all'ennesima potenza che ci accompagneranno per tutti e 35 minuti scarsi di questo capolavoro.
La successiva "Take It", dotata di uno slancio melodico invidiabile e di una freschezza sbarazzina, scivola frizzosa e cazzuta soprattutto per l'ottimo riffing centrale quadrato e il duetto priestiano tra Weir, molto bluesy ed old style nell'approccio solistico, e Sykes, capace di arabeschi puramente metal e più moderni (dal punto di vista chitarristico) che esplodono nota per nota . Dopo un ruggito elettrico inquietante ("Minotaur"), parte la granitica ed anthemica "Hellbound", uno dei momenti estremamente più melodici e poderosi allo stesso tempo di Spellbound, con la batteria a pulsare incessantemente ed il basso a cavalcare prepotente, impreziosito dalla solita prestazione superba di Sykes.
Ma questo devastante trittico iniziale vi serva solo da corposo antipasto! Il pasto non è che a metà e le tigri vogliono continuare a ruggire forti e possenti, strafottenti ed energiche e vi assicuro che vogliono semplicemente assoggettarvi con tutta la carica che hanno in corpo. E allora che straripi fluido il loro metal genuino e sincero a partire da "Mirror Mirror", ballatona metal per eccellenza in cui si mescolano poesia e rabbia che culmina nel solo straziante e da brividi di Sykes, al riff intrigante di "Silver And Gold", in cui Deverill sforna probabilmente la sua miglior prestazione canora, dimostrando una onorevole versatilità canora, e al nervoso incedere di "Tygers Bay" in cui un geniale e sussultorio ma purtroppo breve solo dell'axeman Sykes scuote dalle viscere un refrain un po' deboluccio.
E via giù giù fino alla strizzatina d'occhio malandrina all'hard rock di "Story So Far", piacevolmente nostalgica e catchy, e all'infuocata scossa metal di "Blackjack", forse un po' anonima nel ritornello ma decisamente spigolosa ed adrenalinica fino ad arrivare alla chiusura affidata alla malinconica "Don't Stop By", in cui un palm-muting melodico è squarciato dall'ennesimo roccioso riffing che scivola languidamente in un fantastico brano hard rock illuminato dai soliti lampi melodici di Sykes e probabilmente la migliore prestazione di Dick alla batteria.
In definitiva, un famelico ruggito al quale, purtroppo, i nostri non sapranno ahimè replicare nel corso della loro carriera e che è in grado da solo di far da pilastro all'ideale costruzione maestosa della NWOBHM e che ogni sedicente amante del metal dovrebbe custodire gelosamente ed gustare avidamente. Ovviamente, buona indigestione!
P.S. : Per gli amanti dei Dream Theater e delle gesta di John Sykes vorrei infine aggiungere che Sykes è apparso come guest all'interno del progetto solista di Derek Sherinian del 2004 "Mythology", suonando al fianco di Zakk Wylde nel brano "God Of War" e che nel 2006 la Gibson ha finalmente messo sul mercato il modello di Les Paul custom da lui personalizzato e utilizzato in diversi tour in giro per Irlanda e Regno Unito quando il nostro faceva parte dei Thin Lizzy (se siete curiosi sbirciate pure qui http://www.gibsoncustom.com/print/JohnSykes.pdf).
See Ya!
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