“Do you believe in forever? I don’t even believe in tomorrow…”
Provate a pensare a un uomo alto quasi due metri, fisico da culturista, espressione da assassino, pervaso da neri (in tutti i sensi) problemi psichici, tendenze suicide e perversioni sessuali.
Ponete questo individuo al microfono e circondatelo di alcuni degni compari, i quali, mentre lui urla da indemoniato, devastano con una musica che si basa sull’Heavy Metal e che assume numerosi spunti dall’Industrial e dal Gotico più cupo.
Ora avete una vaga idea su ciò che furono in grado di fare, nel lontano 1991, i Type O Negative con il loro primo lavoro: “Slow, Deep And Hard”. Si tratta di un’impresa difficile trovare, nel panorama musicale duro, un altro disco che contenga tanta rabbia, misantropia, nichilismo, efferatezza e sesso tra loro indistinti.
Il cantante Peter Steele riesce ad interpretare con maestria tutta questa alienazione, che non è altro che un tuffo nel putrido mondo psicologico di un folle, che osserva, dai suoi occhi malati, tutto lo schifo che lo circonda, e lo sente, lo vive, lo grida.
Il disco è suddiviso in sette lunghissimi pezzi, forti di una cura maniacale per la suggestione e di intermezzi strumentali che si avvalgono persino dell’organo, per dare un certo sentore di sacralità in ciò che è meramente blasfemo.
L’introduzione subito non inganna con la furia epica di “Unsuccessfully Copying With The Natural Beauty Of Infidelity” che si lancia in un Metal impregnato di violenza sormontato dalla voce cavernosa e cruenta del singer, per poi lasciare posto ad una melodia lenta, limpida ma ancora scura, in cui si odono chiaramente i sospiri dell’orgasmo; quindi si riprende con la carica distruttiva iniziale e si chiude con un’insolita eleganza votata all’elettronica.
Il secondo brano, “Der Untermensch”, è una assurda combo di trash, battiti, boati e pesanti distorsioni. Si arriva così al terzo stadio della degenerazione morale con “Xero Tollerance” che, al di là degli espliciti contenuti razzisti, è un'altra immersione in un bagno di hardcore e sangue, in cui Steele profetizza omicidio e morte, aiutato in questo da un intermezzo di organo che intona una sorta di funerale.
Pare, inoltre, che il leader del gruppo non nutra una spiccata simpatia nemmeno per il gentilsesso; infatti, “Prelude To Agony”, un’invettiva contro l’amore sentimentale, si esprime in un realistico e allucinante stupro a colpi di martello pneumatico, con tanto di urla straziate della vittima e di cori religiosi (più volti alla Chiesa di Satana che non a quella di Dio) che fanno della violenza sessuale un sacramento.
Restano, per concludere, la tetra desolazione infernale di “Glass Walls Of A Limbo” e “Gravitational Costant”, un ultimo appello contro la vita e l’esistenza umana.
“Slow, Deep And Hard”, a distanza di anni, mantiene ancora intatto il cocktail di depravazioni assolute che porta con sé, facendone un’opera unica nel suo genere. Nemmeno la stessa band, nei lavori successivi, saprà riproporre la medesima estrema perdizione, qui così nitida.
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