Nel panorama metal, si può affermare senza ombra di dubbio che gli anni che vanno dal 1982 al 1984 sono stati forse i migliori per il genere. Tantissimi lavori usciti in quegli anni sono stati di enorme influenza per i gruppi a venire, e sempre tanti di quei lavori sono riconosciuti oggi come dei pilastri. "Black Metal" (1982) dei Venom, "Into Glory Ride" (1983) dei Manowar, "Kill Em' All" (1983) dei Metallica, "Defenders Of The Faith" (1984) dei Judas Priest, "Spreading The Disease" (1985) degli Anthrax, per dirne alcuni. Ma senza togliere niente a questi album, e a molti altri, ci sono oltremodo moltissime band che in quegli anni non hanno mai avuto la giusta popolarità, dovendo stare per troppo tempo nel dimenticatoio, per essere poi riscoperti più tardi.
Uno di questi sono i Tyrant, band tedesca formata in Germania sul finire del 1982, che vede nella sua proposta musicale un heavy/speed fortemente influenzato da gruppi come gli Accept, nella ricerca della melodia e con riff schiacciasassi, e che anticipava a suo modo il sound tipicamente speed che avrebbe poi reso famose band come i Grave Digger e i Running Wild.
Nel 1984 vede la luce il loro primo disco, "Mean Machine", e basta solo un primo ascolto per capire di che pasta è fatta questa band. Impetuose e devastanti, "Free For All" e "I'm Ready" sono il biglietto da visita che questo gruppo ci propone per farci passare poco più di 40 minuti in compagnia di heavy metal nella sua forma più classica. Più anthemica è "Wanna Make Love", che mostra nel ritornello la voce roca e diretta del cantante, che stranamente risulta pressochè identica al frontman dei Grave Digger, Chris Bolthendal. E strano che quest'ultimo pezzo non sia neanche stato censurato all'epoca, poichè altrettanti pezzi sul sesso furono censurati, uno fra i tanti "Animal (Fuck Like A Beast) degli W.A.S.P., nello stesso anno. Sembra invece uscita direttamente da un album dei Manowar la canzone "Making Noise And Drinking Beer", dal testo pacchiano ma divertente sia da leggere, che all'ascolto. "Blood Suckin' Woman" invece è potenza pura, arrichita dalla giusta melodia e da un assolo a dir poco eccelso, e che insieme alla precedente "Grapes Of Wrath" risulta essere il punto più alto dell'album. "We Stay Free" pecca invece nel ritornello, scadente e prevedibile, seppur il riff di base non sia malaccio.
Alla fine dei conti un lavoro più che sufficiente, che dimostra come a volte i nomi più blasonati non siano sempre sinonimo di qualità. Ciò che ognuno di noi dovrebbe avere è un po' di curiosità, una curiosità che ci spinga a scavare più in fondo, e cercare lavori fatti da band semi sconosciute che potrebbero rientrare, chissà, fra gli ascolti preferiti. Che altro dire su questo "Mean Machine"? Un album da riscoprire, e che nella sua durata potrà far felici e soddisfatti gli amanti del genere. Da riscoprire.
Carico i commenti... con calma