Dopo il successo di "The Joshua Tree" (a oggi 28 milioni di copie vendute), e dopo l'ottimo riscontro di "Rattle and Hum" (a oggi 14 milioni), gli U2 si ritirano dalle scene. Il periodo 1990 - 1991 fu terribile per i 4 di Dublino. Più volte si rischiò lo scioglimento. Bono ha descritto efficacemente questi due anni come "il nostro sforzo di scendere dall'albero di Joshua"; Edge invece come "la nostra lotta per sgonfiare il pallone del mito creato da Joshua". Questa reazione al mito di "The Joshua Tree", che li portò sull'orlo dell'esaurimento nervoso, è stato questo magnifico disco, uno dei più belli di sempre - per me il miglior disco del 1991 dopo "Nevermind".
Ricordo perfettamente quando lo misi nel CD player. Premo il play e mi trovo davanti ad una canzone che, col senno di poi, vuole dire: se cercate un altro Joshua avete proprio sbagliato posto. La canzone non mi piace, con quella voce ovattata che mi dà l'impressione di patetica voglia di stupire a tutti i costi. Che barba, che noia. Ho quasi voglia di spegnere lo stereo, ma dò loro un 'altra possibilità. Sento un riff abbastanza facilino che non mi piace molto; sto per mandarli al diavolo, ma dopo 20 secondi la canzone ingrana e mi accorgo che non è niente male. Poi arriva l'assolo di Edge, che non è Steve Vay, ma che sa bene come incantarmi con il suo suono e la sua geniale semplicità. Qui però il suono non è quello metallico degli U2 che ho amato e che amo tanto; ma è comunque un bel giro di note. La canzone si conclude; non un capolavoro, ma mi ha gustato tanto. Ok, non spengo il CD player. Ed ecco il suono delle bacchette... Dall'inizio alla fine sono incantato, fino a quando arrivano quelle note struggenti di Edge, con il suono U2 classico, e quel vocalizzo divino di Bono che porta alle lacrime. Non servono commenti. One è più di una canzone, e lo si capisce da come è nata. Un giorno, in mezzo alla depressione, e pronti a dire basta al gruppo, Edge si mise a suonare; Bono, colpito dal suono, improvvisò su un tavolo. Era nata One, un dono del Cielo con cui Dio disse loro di non mollare e di non sciogliersi. Fu One che diede loro la fiducia di poter scrivere altre belle canzoni, e la consapevolezza che il meglio non sempre appartiene al passato.
Mi dico: mamma mia, ma che errore mettere questa canzone al terzo posto. Il resto non sarà così bello. Hanno ammazzato il disco. Mai la mia presunzione fu più sbagliata. Arriva un suono cacofonico. Mi dico: un'altra stronzata alternativa come la prima traccia. Ma non è così. Si parte con i tom, e comincia uno dei più bei pezzi mai registrati dagli U2. Una melodia sobria, ma che ti fa venire la pelle d'oca. Sembra Micheal Stipe. Edge fa il suo dovere ma con sobrietà per non disturbare coi suoi scintillii la voce di Bono. Poi si prende il suo spazio con un ottimo assolo. Poi il vocalizzo "abissale" di Bono che introduce la terza strofa e la conclusione. Wow. Che ci sarà dopo?
Due capolavori di fila non bastavano. Arriva il terzo, questa volta capolavoro di emozione. Melodia dolce, e chitarra dura di sottofondo. Poi a 3:18 quel cambio di pelle d'oca, e poi Edge che prepara con il suo plin-plin la voce di Bono che implora "Don't turn around, don't look back". Sono al tappeto.
Arriva "So Cruel", che non è "October" come sonata al piano, ma non ha nulla da invidiare a "Running to stand still". Forse un pò troppo lunga.
Di nuovo un riff, questa volta più carino della seconda traccia. Questa volta a dominare è la strana melodia delle strofe, a cui segue lo splendido falsetto di Bono che gioca con paradossali e scomode frasi che non si dovrebbero dire: "La coscienza a volte è una peste. Tutti uccidono l'ispirazione, e poi ne cantano il dolore". E' la mosca. Arriva l'assolo di Edge: quando il delay diventa arte. Un altro gioiello.
I due passaggi successivi sono un pò più pop, ma due canzoni minori in un disco sono sopportabili - del resto anche in "Sgt. Pepper" ci sono due canzoni minori come "A Little Help from my Friends" e "Lovely Rita". Ci avviciniamo al gran finale.
C'è uno splendido falsetto di Bono. "Ultraviolet" si sviluppa su idee convenzionali, ma la melodia superba e l'accompagnamento "ritmico" di Edge rendono la canzone memorabile. Forse non un capolavoro assoluto, ma un capolavoro minore senza dubbio, come capolavoro minore è la stupenda canzone successiva: "Acrobat". Sono deliziato, ma non so cosa mi aspetta.
C'è un organo funereo. La batteria sobria e il piano stupendo introducono lo splendido cantato di Bono. Poi Edge entra con quella sua chitarra indefinibile. Poi il malinconico vocalizzo finale di Bono che fa tremare. Questa canzone parla del fallimento del matrimonio di Edge. Bono chiese ad Edge di fare del suo meglio con la chitarra. Mentre Bono cantava, Edge, ascoltando le parole, si mise a piangere, cominciò a suonare il suo dolore, e spezzò anche una corda. La rabbia trattenuta per la fine del suo amore sono in quell'assolo che Bono definì "incredibile" (cf. Wikipedia versione inglese per la storia di questa canzone).
Questo disco è il "Sgt. Pepper" degli U2. Non c'è un album di così tante splendide canzoni uno accanto, anche se forse i capolavori maggiori (a parte alcuni episodi) stanno altrove. L'equilibrio fra voglia di nuovo e buon gusto è all'origine di questo gioiello. Anche se "The Joshua Tree", forse, è superiore, lo spessore di questo disco è superiore all' Albero, che, benché capolavoro, è un pò troppo easy in alcuni episodi.
Dopo l'uscita di "Achtung Baby", un giornalista chiese a Bono: "Ti rendi conto che potrebbe deludere molti ?". Bono rispose: "Non me ne importa nulla. Sono sicuro che piacerà ai veri fan degi U2. Forse perderemo i pop-kids, ma non ne abbiamo bisogno". Un segno della grande sincerità con cui venne fatto questo disco: senza pensare al pubblico e alle vendite. E' banale dirlo, ma quante bei dischi si potrebbero fare se si componesse con questa libertà interiore.
Grazie U2, ci avete incantato.
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