L’unica possibilità di ascoltare il nuovo disco degli U2 è quella di provare ad inserire ciascuna delle tracce contenute in esso all’interno della loro storia discografica e – possibilmente -, biografica. La voce di Bono sembra tornata ad essere migliore, rispetto all’ultimo indecente album e tutto il resto della band funziona a dovere.
The Miracle potrebbe essere inserita come b-side in un disco come War, Every Breaking Wave potrebbe avere la gloria di una nuova traccia di All That You Can’t Live Behind, così come California. Song For Someone non è nient’altro che una ballata di Edge per sola voce (di Bono) di quelle da fare a metà concerto, su un palco raccolto intorno ai fan. E sarà così, vedrete. Tutto il resto delle canzoni hanno una collocazione, storica, biografica, musicale da cui dipendono senza staccarsi, da cui è imprescindibile chiarire il confronto.
Il lavoro di per sé è imperfetto. Proprio perché non è un’opera in sé, ma un approccio non antologico a quella che è stata la storia della band irlandese, tanto che un Songs Of Experience è ventilato nell’aria. Proprio perché ogni brano fa pensare al dopo, a cosa sia successo, capitato, aggiunto nella musica degli U2, e questo, almeno i fans più longevi lo avranno capito benissimo.
Non è possibile sentirsi traditi da Songs Of Innocence. Ci sono gli U2 dentro, che creano qualcosa di nuovo su qualcosa di oltre 35 anni fa, con produttori, mezzi e aspirazioni del tutto differenti. In un’epoca in cui “il non sapere” diventa scienza, quella direzione giusta di Bono e compagni è ancora distante, ma dove le strade non hanno un nome tutto può ancora accadere.
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