Prima di leggere questa recensione, credo sia corretto da parte mia fare un’importante premessa.

Ho conosciuto gli U2 in epoca War e li ho amati visceralmente fino ad AB, disco che ho dovuto metabolizzare prima di poterlo apprezzare per quel che realmente è stato, ed è tuttora. Poi con Zooropa è cominciato un lento processo di distacco, cioè da quando hanno cambiato decisamente la loro proposta musicale.

Il distacco emotivo si è compiuto con “All that you Cant’t You Leave Behind”, il disco che segna la svendita dell’anima al pop e che li ha introdotti nel baratro della ripetitività. Da quel disco in poi il loro sound si è avviluppato in una patina plasticosa, artefatta, sovraprodotta ed eccessivamente arrangiata che a mio parere non è nelle loro corde. Purtroppo il flop commerciale dell’album POP (che in realtà ha canzoni di sostanza, rovinate da arrangiamenti cervellotici) ha convinto i quattro dublinesi a chiudere in cantina quella curiosità sperimentale che fino ad allora era stato il filo conduttore di tutti i loro lavori per conformarsi all’andazzo musicale mainstream.

Considero personalmente la discografia degli anni 2000 irrilevante, fino a Songs Of Innocence. Rarissime le canzoni che possono essere messe al fianco del primo ventennio della loro carriera. Songs of Innocence lo ritengo addirittura dannoso per la loro storia. Canzoni deboli affidate una squadra di produttori il cui unico fattor comune è il dannatissimo pop più commerciale. Il senso di tradimento che ho provato al primo ascolto fu totale.

Tutto questo per dire che non sono certo sereno nel recensire la nuova fatica dei miei ex-eroi. E forse nemmeno obiettivo, ma ritengo di rappresentare moltissimi (ex)fan dei dublinesi.

I tre singoli usciti mi avevano ulteriormente inacidito e mi avevano convinto che era giunto quel momento che credevo mai arrivasse, ossia NON comprare un album U2. Senonchè gli utenti di vari forum uduici hanno gridato al miracolo al primo leak uscito e quindi un misto di curiosità e speranza mi hanno spinto a spendere sti quasi 14 gneuri su Itunes per accattarmi anche sto disco qui.

Dico subito che Songo of Experience non si discosta dall’andazzo degli anni 2000, ma se non altro è decisamente migliore del brutto innocente fratello, con canzoni che si sono liberate da inutili orpelli, sono più semplici ed immediate. MA…. Ma sono smaccatamente, convintamente, inequivocabilmente e forse anche orgogliosamente pop mainstream, come anche confermano le collaborazioni con le Haim, Lady Gaga, Ryan Tedder, ecc (nomi che a dirne di equivalenti trent’anni fa, avrebbero fatto inorridire tutto l’universo-mondo Uduico).

L’album si apre con Love is All we have Left, che ha fatto urlare al miracolo a molti fan. Che miracolo non è, ma si tratta di una efficace intro basata su un tappeto sonoro, quasi un drone, sul quale Bono ricama con una voce vellutata (forse tono sotto sarebbe stata ancora più dark in coerenza col testo). I problemi, e grossi, non tardano purtroppo ad arrivare quando il nostro fa uso del vocoder: una cosa che su quella voce meravigliosa non si può sentire. Come rovinare un buon pezzo cedendo alle mode (del cazzo) del momento. Altri due difetti sono l’inizio troppo improvviso rispetto all’atmosfera pacata del brano e la fine tronca ad cazzum, quando poteva magari essere raccordata senza interruzioni alla canzone successiva. Ma, si sa, le canzoni unite son tutto tranne che pop… (5)

Lights of Home è un ritmato pezzo prevalentemente acustico, molto ben mixato e registrato, con annesso ritornello orecchiabile e con tanto di ripetuti “Hey Now” che tanto garbano ai nostri. Classica struttura strofa-ritornello, non ha sound tipicamente U2 (sembra ispirarsi ad Ed Sheeran), accoglie un assolo di Edge senza infamia e senza lode, prima dell’orripilante outro di un minuto in cui viene ripreso un verso di Iris. Peccato, fino alla fine del solo meritava la sufficienza. (5,5)

You’re The Best Thing About Me. Canzonetta di una banalità sconcertante, addirittura Irritante se si pensa al loro passato. Skip intended già a partire dal titolo. (4)

Get Out of your own way: è un’altra di quelle canzoni che fanno benedire l’inventore del tasto skip. Se Best Thing è sconcertante, questa è imbarazzante. Il testo che, pare, ce l’abbia con Trump (e chi se ne fotte dei vari dittatori bombaroli sparsi per il mondo…) è cantato su una strofa la cui melodia sembra una filastrocca da asilo. La canzone è un misto maldestro tra Beautiful Day e Invisible, con lo stesso sample di drum-machine che ormai ha anche rotto i maroni. L’assolino di Edge è banale e ripetitivo. Davvero pessima. (3)

American Soul. Rispetto all’abisso delle due precedenti, sembra una boccata di ossigeno pur nella sua mediocrità. Il sound un po’ più coerente rispetto al testo, ma quello che fa risprofondare negli abissi è la ripresa di Volcano, una delle peggiori canzoni della loro discografia. Ma perché??? (5).

Summer of love. Finalmente un Edge in grande spolvero fa un ottimo lavoro e regge tutta la canzone (come ai vecchi tempi) con un modo di suonare un po’ atipico per lui e si fa apprezzare per l’esecuzione. L’intermezzo arpeggiato sembra un taglia/incolla un po’ frettoloso tanto arriva improvviso e slegato (inserito postumo?). La canzone è orecchiabile, smaccatamente pop, ma se non altro gradevole con l’unica pecca di fare il verso a “Prayer in C” di Lily Wood & The Prick. Rischia forse di stancare subito. (6,5)

Red flag day. Pezzo funk-reggae dalla melodia facile-facile, anche qui non ci fosse Bono, non diresti mai sarebbe una loro canzone. Orecchiabilissima e leggerina, ma in palese distonia con la drammaticità del testo. (6)

The Showman: ennesimo maldestro tentativo acustico che regge appena nella strofa, ma cade rovinosamente nel ritornello. L’unica qualità è che allegrotta, ma rimane brutta ed inutile. (4)

The Little things that give you away: per fortuna arriva un gioiellino a non far rimpiangere i soldi spesi sin qui. La versione in studio è decisamente migliore delle stentoree versioni acustiche sentite live. Finalmente si risentono gli U2 che un vecchio inacidito come me ha voglia di sentire. Una canzone quasi destrutturata come le loro migliori e con un outro quasi epico come loro san fare. Nulla di miracoloso, ma almeno siamo più a fuoco. (7)

Landlady: Dopo “Little Things..”, il rischio di sfigurare per gli U2 odierni era altissimo, invece Landlady regge abbastanza bene. La canzone inizia facendo temere di essere la reprise di “Raised by Wolves”, invece poi sviluppa una linea tutta sua, con sonorità ricercate che rievocano un passato glorioso. Ma cazzo, quando volete, sapete ancora fare qualcosa di buono!!! (6,5).

The Blackout: è l’immancabile tamarrata pop-rock dei loro anni 2000. Sta all’album come le varie Elevation, Vertigo, Get on Your Boots e The Miracle (of Joey Ramone) stanno ai rispettivi dischi. (5)

Love Is Bigger Than Anything In Its Way: La canzone si aggira pericolosamente in zona Coldplay, incluso l’incedere lamentoso della parte vocale (di nuovo rovinata con il vocoder sull’immancabile oho-oho). Personalmente degli U2 “coldplayed” ne avrei piene le tasche. Canzone bruttarella forte nella sua insignificanza pop mainstream (4,5)

13 (There Is A Light): Inutile chiusura con una ancora più inutile ripresa di una delle loro più inutili canzoni (Song for someone). Tragica assenza di idee? No, dicono i beneinformati, sono volute reprise tipiche di un concept album. Sarà…. ma io non ho mai sentito parlare di reprise tra canzoni di album pubblicati a distanza di tre anni. Insomma se stava fuori dal disco era molto meglio (4).

In generale, l’album è fortemente connotato dalla performance di Bono, che rimane una delle voci migliori in circolazione. Sicuramente nel tempo la sua prestazione canora è tecnicamente migliorata, ma ha perso quel quid interpretativo che la rendeva unica. Canta bene, impeccabilmente, ma ci mette un po’ troppa maniera e poco pathos. E questo è a mio parere il problema principale dei loro dischi del terzo millennio, a cui questo ultimo lavoro non si sottrae.

Songs Of Experience, per fortuna, ha qualcosa che si salva, ma è complessivamente mediocre. Certi episodi, poi, sono talmente tristi che sembra impossibile siano veri. Purtroppo, talvolta, la realtà supera la fantasia.

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