Le antologie, i 'the best of', vanno sempre presi con le pinze. Molto spesso sono biechissime operazioni commerciali ai limiti della querela, altre volte invece, sono solo incomplete o deludenti. Qualche volta però, a mò di miraggio, compare nel vasto panorama musicale un antologia degna di nota (o, come in questo caso, di recensione): il vendutissimo "Greatest Hits" di Simon & Garfunkel del 1972, quello di Elton John del 2002 o quello di Paolo Conte del 1996. Nel 1998 esce "The Best Of 1980 - 1990" dedicato agli U2.
Per chi crede che gli U2 nella storia della musica c'entrino come i cavoli a merenda, ahimè, ha sbagliato recensione, chi invece come il sottoscritto li adorava (oggi hanno palesemente stancato, non si può nascondersi dietro un dito), questo greatest hits è una sorpresa gradita e piacevole. Non perchè si tratti di un antologia perfettamente stilata (mancano molti brani storici, a partire da "Elvis & America", tanto per dirne uno), ma perchè si sforza di stipare in sole poche traccie (14, veramente poche) un decennio di successi e grandi brani. In realtà i dischi sono 2: sul primo troviamo i classici senza tempo, sul secondo le cosiddette facciate B. Scelta coraggiosa e intelligente, e se vogliamo persino un pò retrò. Tutto molto bello, ben fatto e ben curato. La pecca più grossa, purtroppo, è quella che affligge la maggior parte delle antologie: i brani sono inseriti in ordine puramente sparso (c'è n'è uno del 1987 e poi il successivo è del 1980!) ed è un vero peccato: se fossero stati in ordine si sarebbe potuto parlare di piccola summa artistica, così invece sembra un accozzaglia di titoli buttati lì a casaccio. Nonostante ciò, il lavoro appare interessante e pregno di emozioni.
Si parte con l'intramontabile "Pride (In The Name Of Love)" caposaldo della discografia della band irlandese copiata e imitata da molti gruppi a venire (la citazione più divertente del brano però, si trova in un episodio della serie Tv "The Simpsons"); a seguire l'impegnata "New Year's Day" tratta da "War", e dedicata alla rivolta polacca di Solidarnosc, brano che stazionerà a lungo nelle alte vette delle classifiche inglesi e americane; si continua con due pezzi tratta da "The Joshua Tree", forse il lavoro più maturo della band, e per l'esattezza "With Or Without You" (classico brano da concerto) e "I Still Haven't Found What I'm Looking For", pezzi potenti pregni di rock vagamente rollingstoniano; "Sunday Bloody Sunday" non ha bisogno di presentazioni e dunque sorvoliamo; "I Will Follow" rappresenta la Genesi degli U2, tratto da "Boy", è un brano felicissimo da un punto di vista musicale e pienamente soddisfacente per la perfetta sinergia che intercorre tra parole e musica; "Bad" è forse il brano meno azzeccato per compilare un'antologia (c'è ne sono chiaramente di meglio), ma il successivo "Where The Streets Have No Name" ripaga del piccolo scivolone precedente, basterebbe solo l'intro e la potente scarica rock del ritornello per capire le ragioni del successo planetario di Bono & Co; "The Unforgettable Fire" ammicca alla bomba atomica, o più in generale, se vogliamo, alle bombe in genere; gradevole il riarrangiamento di "Sweetest Thing" e grandi emozioni per il sottofinale, quello che, in un colpo, ci sorprende con "Desire" e "When Loves Comes To Town"; "Angel Of Harlem" è sempre un capolavoro, specie poi se suonata dal vivo col pubblico in delirio; il finale con "All I Want Is You" è perfetto e nostalgico, giocato sulle corde dell'emozione e del capolavoro.
Il secondo disco, come detto, è un insieme gustoso di lati B. Alcuni non si riesce veramente a capire come si possa classificarli lati B, altri invece sono palesemente meno riusciti ma comunque assai superiori allo standard qualitativo della musica di metà anni Ottanta. Un viaggio magnifico, sicuramente nostalgico, un viaggio che ci porta attraverso alcuni album passati giustamente alla storia per intensità e potenza, "Boy", "War", il leggendario "The Joshua Tree" (rock vibrante, come già una volta ebbi modo di dire) e il doppio "Rattle And Hum", potente anch'esso, ma forse più spontaneo e genuino. E poi "The Unforgettable Fire", il disco più contestato degli U2: musica e politica, dolore e guerra, e il mito di Elvis Presley. Gli U2 degli anni Ottanta erano miracolosi: capaci di passare dalle registrazioni in studio alle folle del Live Aid, senza perdere nemmeno un grammo della propria incontenibile verve. Commerciali sì, e anche tanto, ma poi è un difetto comporre musica commerciale? Nel 2002 uscirà anche un successivo "The Best Of" dedicato però agli U2 di fine millennio, dal 1990 al 2000. Il risultato sarà però scarsino, vuoi soprattutto perchè a parte l'ottimo "Achtung Baby" la band irlandese di Bono e The Edge, dal 1992 fino ad oggi non imbroccherà più nemmeno un disco, con grande sconcerto dei fans (a me in primis) e con grande dispiacere per veder sprecato simile talento con robaccia tipo "Zooropa".
Non è un eresia affermare che dopo "One" gli U2 si sono autoseppelliti: per sempre? Speriamo di no!
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