La musica probabilmente è la forma d'arte più accessibile alla gente, senza dubbio la più emozionante. E questo gli U2 lo hanno sempre saputo bene. Nella loro ultraventennale carriera hanno firmato tante belle pagine nella storia, capolavori senza tempo, ma sempre con un obiettivo: soddisfare anche l'uomo comune, quello che non conosce i gruppi di nicchia, quelli più nascosti spesso oggetto del pavoneggiamento dei finti intenditori.
I quattro di Dublino sono uno dei pochi, pochissimi esempi che il binomio qualità-vendite può esistere, che queste due possibilità sono in grado di andare a braccetto. Da parte loro ne abbiamo avute dimostrazioni del genere, dalla trilogia Boy-October-War, a The Unforgettable Fire, ai rivoluzionari Achtung Baby e Zooropa.
Ovviamente non manca The Joshua Tree, pubblicato nel 1987, che con molta probabilità rappresenta, insieme proprio ad Achtung Baby, il picco creativo della band di Dublino.
The Joshua Tree si apre con la spettacolare "Where the Streets Have No Name", una canzone simbolo di un'epoca, del linguaggio sacro del rock e del blues. L'intro iniziale è qualcosa di magico, che riporta a luoghi lontani, che fa correre un brivido lungo la schiena. Ma non è facile analizzare ogni canzone singolarmente, forse. Perchè in realtà questo album costituisce un cammino unico, spezzato nel ritmo solo dalla potenza di "Bullet The Blue Sky" ed "Exit", inni, un po' dark, al rock duro e puro, con in primo piano la batteria di Larry Mullen e il basso di Adam Clayton. Perchè troviamo episodi come "I Still Haven't Found What I'm Looking For", struggente ballata nel puro stile U2; la bella "With Or Without You", uno dei brani più amati dai fans, un urlo disperato, oscuro, in cui è difficile non immedesimarsi. C'è la perla "Running To Stand Still", un po' malinconica, una di quelle canzoni in viene voglia di pensare in compagnia dell'amore della propria vita, magari ballando dolcemente insieme alle note di questa canzone, romantica si, ma dal testo e dalla poeticità non scontate.
Troviamo poi la parte "country" del disco, "Red Hill Mining Town", "In God's Country", quest'ultima caratterizzata da un bravissimo The Edge, inconfondibile col suo mitico stile della "chitarra urlante". "Trip Trough Your Wires", bisogna essere sinceri, è forse un po' il punto debole dell'album, qualcosa di un po' frivolo, che non regge il confronto con le altre songs. Magari una "Spanish Eyes" o una "Silver And Gold", destinate al ruolo di B-Sides nei singoli, avrebbero avuto un perchè maggiore in questo lavoro, che si conclude con la triste "Mothers Of Disappeared", dedicata ai dispersi nella guerra dei Caraibi, probabilmente uno dei primi segni che nel sound degli U2 qualcosa stava cambiando. Ma allora la confusione dello Zoo TV era ancora lontana. Qui c'è solo l'anima del rock, la sua essenza, che non è spaccare chitarre, non è sesso, non è droga.
I difetti di questo disco? Beh, più che nel lavoro in sè, vanno ricercati in una produzione non del tutto eccellente, soprattutto in "Exit" per esempio il volume è mixato davvero troppo basso, e non consente di godere appieno del basso di Clayton.
Ma ci deve essere un perchè anche a questo, e chissà che prima o poi non lo capiremo.
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