"The Unforgettable Fire" era stato il "Revolver" degli U2, "The Joshua Tree" è il loro "Sgt.Pepper's". Naturalmente, fatte le debite proporzioni. La band di Dublino capitanata dal leader indiscusso Paul Hewson, in arte Bono Vox, spiazza tutti e conquista le zone calde, caldissime, della hit parade: "The Joshua Tree" rimarrà in classifica per quasi un anno e venderà, complessivamente, una cifra assai vicina ai 12 milioni di copie. Per carità, nulla se paragonato al successo (comunque meritato) del "Thriller" di jacksoniana memoria (oltre 50 milioni di copie vendute), ma stiamo comunque parlando di cifre folli, da capogiro.
"The Joshua Tree" è l'album definitivo degli U2, quello forse meno genuino e più calcolato, ma sicuramente uno dei più travolgenti. Grazie all'aiuto, non indifferente, di vecchi amici di un tempo come Daniel Lanois e Brian Eno, gli U2 diventano i signori del rock, o meglio, i migliori fautori di quel rock politico e impegnato che vede nella svolta dylaniana (1965, "Highway 61 Revisited") il vero punto di partenza per un'intera generazione di rockettari impegnati e un pochino dark.
In questo "The Joshua Tree" ci sono forse meno idee, e anche meno coraggio, rispetto al precedente "The Unforgettable Fire", ma le canzoni sono più forti e meglio focalizzate, sicuramente più incisive. Basterebbe l'inizio di "Where The Streets Have No Name" per capire che ci troviamo di fronte a qualcosa di epocale: un inizio quasi in sordina, tirato col freno a mano, e un'accellerazione rock tanto potente quanto vibrante. Brani clamorosi, a volte persino geniali, si incrociano in questo scintillante capolavoro: il ritmo sprezzante di "I Still Haven't Found What I'm Looking" e le melodie vagamente dolciastre di "With Or Without You". Senza dimenticare alcune perle d'altissima classifica: "Exit", "Bullett The Blue Sky", "One Tree Hill" e la superba "Running To Stand Ill".
Ma gli U2 non sono solo grandi musicisti, sono anche grandi creatori d'atmosfere nonchè sopraffini parolieri. "The Joshua Tree" è un disco reazionario (non nel senso comune del termine) e politico, dark eppure a tratti persino solare. Animali da palcoscenico, affabulatori di un linguaggio eternamente sospeso fra la nostalgia di riconoscersi in un popolo e la voglia di scappare verso vie meno farraginose, porta la band di Bono Vox a creare un disco in cui ogni nota ed ogni sillaba sembrano intersecarsi perfettamente in una sorta di viscerale nodo creativo. Dove le strade non hanno un nome (traduzione di "Where The Streets Have No Name"), il nome glielo danno gli U2: coraggiosi nel ricercare una propria identità culturale, affascinanti quando cercano di rimodellare, senza però tagliare con l'accetta, il rock di metà anni Ottanta senza farsi nè invogliare nè tentare dalla moda dance (imperante in quegli anni). Il loro è un rock sanamente genuino, forse un pò classicomane ma indubbiamente efficace e potente, capace, con poche note, di dare corpo e anima a una sorta di rivoluzionaria poesia musicale: non è un caso infatti che la band sia formata semplicemente da quattro elementi e, sostanzialmente, solo tre strumenti: batteria, chitarra, basso. Forse, anche per queste ristrettezze musicali, i loro brani appaiono fluidi e incandescenti.
"The Joshua Tree" non sarà l'ultimo grande album degli U2, dopo verrà "Achtung Baby" e in mezzo c'è un certo "Rattle And Hum", insomma, roba forte. Album che, volenti o nolenti, hanno fatto la storia di un certo tipo di rock, quello meno elaborato rispetto ai primissimi Rolling Stones ma sicuramente grintoso e di impatto (quasi) devastante. Peccato che poi, a partire dal 1993 con "Zooropa", anche gli U2 si siano sentiti in dovere di mollare e ridicolizzarsi con canzone spesso banali talvolta addirittura pessime ("Discotheque" ne è l'esempio migliore). Ma "The Joshua Tree", con la copertina dark e glaciale, è ancora oggi un must imperdibile per tutti gli amanti del rock e per tutti quello che amano la connessione temporale logica fra musica e testi. Capolavoro, ovviamente.
Carico i commenti... con calma