Come “Please Please Me” dei Beatles ha rappresentato meglio di qualunque altro disco l’ottimismo dei giovani agli inizi degli anni 60, e come, dieci anni dopo, “The Dark Side of the Moon” rappresentò meglio di qualunque altro disco la disillusione degli anni 70, “War” (1983) ha rappresentato meglio di ogni altro album i sentimenti dei giovani all’inizio degli anni 80, nei giorni più inquietanti della Guerra Fredda. “War” parla (soprattutto) di questo e quindi possiamo definirlo un eccellente documento d’epoca.

Ma disco “epocale” non significa necessariamente capolavoro musicale, e infatti “War” non lo è;  “War” è, dal punto di vista musicale, un chiaro passo indietro rispetto al precedente “October”, configurandosi un po’ come il “The Joshua Tree” del primo periodo: un disco con tre eccellenti singoli (“Sunday Bloody Sunday”, “New Year’s Day” e “Surrender”) e poi una serie di eccellenti canzoni pop (melodico o duro) che sanno arrivare all’ascoltatore. Un disco “immediato”, nel senso più nobile del termine, e certamente un album che ha saputo entrare come pochi altri nel cuore della gente di quegli anni. Il che non è poco.

Forse “War” non sarebbe mai apparso e la storia degli U2 si sarebbe chiusa nel 1981. Irlandesi credenti, tre di loro erano entrati a far parte di un gruppo cristiano (abbastanza estremista) chiamato Shalom che li aveva portati ad avere alcuni dubbi sulla loro scelta di fare musica. Per certi cristiani fanatici il rock è la musica del diavolo e quindi, puerilmente, anche i  pensieri degli U2 divennero dicotomici: la fede o il rock. Ad un certo punto The Edge lasciò il gruppo e Bono lo seguì a ruota.

Dopo alcuni mesi di riflessione più meditata, i tre tornarono sui loro passi, e nel Marzo 1982 pubblicarono il nuovo singolo “A Celebration”, un semplice e diretto rock che tocca i temi religiosi di “October” e, contemporaneamente, anticipa le paure di “War” con Bono che canta: “Credo nella terza guerra mondiale, credo nella bomba atomica, ma non mi schiacceranno. Credo nelle mura di Gerico, credo stiano crollando, credo nella Chiesa di Cristo”.

Con questo nuovo singolo nei negozi, gli U2 si chiusero in studio e tra il Maggio e il Dicembre 1982 tirarono fuori il disco che, da anonimi, li trasformò nel più grande gruppo emergente del mondo. A oggi 11 milioni di copie vendute.

L’album ha un inizio intramontabile. È la batteria marziale di Mullen che introduce un inquietante violino elettrico per dare il la al memorabile arpeggio di Edge. La voce di Bono pensa al resto, mentre il violino e la chitarra acustica (che si unisce a quella elettrica) quasi sottolineano la triste rabbia che avvolgono le liriche: “Non posso credere alle notizie che ho sentito, ma non posso chiudere gli occhi e farle andar via”. Bono sta parlando della famosa strage di Domenica 30 Gennaio 1972 avvenuta a Derry (Irlanda del Nord) quando la polizia inglese sparò su una folla pacifica che protestava contro l’occupazione inglese in Irlanda. Il cantante passa a descrivere in parole semplici ma efficaci gli effetti della carneficina (tredici morti e diversi feriti), mentre Edge ripete il riff iniziale: “Bottiglie rotte sotto i piedi dei bimbi. Corpi sparsi ai lati del vicolo cieco. Ma non darò retta al richiamo alla lotta. Mi mette con le spalle al muro”, fino al ritornello:“Sunday Bloody Sunday”. Poi la chitarra ripete di nuovo le note dell’arpeggio ma si fa dura, per rappresentare (molto bene) la rabbia montante: “E la battaglia è appena cominciata. Ci sono molte perdite, ma dimmi chi ha vinto? Le trincee scavate nei nostri cuori e madri, figli, fratelli, sorelle separati. Per quanto, dovremo cantare questa canzone? Per quanto, per quanto? Perché stanotte noi possiamo essere uniti”. Dopo l’assolo c’è un intermezzo lento (caratteristica di tante loro canzoni dei primi anni, da “I Will Follow” ad “Out of Control”), prima della terza strofa con la batteria di Mullen che pesta pesantemente sostituendosi alla chitarra. La terza strofa contiene il succo della canzone, e cioè l’abitudine della gente all’orrore a causa della televisione: ”Ed è vero siamo immuni, quando la verità è romanzo e la TV realtà”. La canzone si conclude con il solito riferimento cristiano: “La vera battaglia è appena cominciata. Per reclamare la vittoria che Gesù ottenne in una....”  Bono vorrebbe dire “Gloriosa Domenica”, ma poi ritorna a terra e canta “Domenica, maledetta domenica”. Pochi semplici accordi, ma con tante varianti sul tema hanno generato un pezzo difficilmente dimenticabile. La semplicità non è di ostacolo alla bellezza se alla semplicità si unisce un grande lavoro di raffinamento, come questa canzone ci mostra. Non un capolavoro musicale, ma di certo non una canzone mediocre.

Sorprendentemente, "Sunday Bloody Sunday", pur essendo un brano che parla contro l’oppressione degli Inglesi in Irlanda, rimase in cima alle classifiche inglesi per oltre un anno. L’amore degli inglesi per questa canzone si può vedere quel 13 Luglio 1985 al Wembley Stadium durante il Live Aid. Una canzone può fare più di tante conferenze di pace.

Dopo l’intro, si passa a “Seconds”, un brano più calmo, ma dal testo non molto poetico ma chiaro e diretto: “Ci vuole un secondo per dire addio, dì addio. Lampi di fulmini attraverso il cielo Est od Ovest, se lo fanno  moriremo”. I lampi di fulmini di cui si parla sono i missili della NATO e quelli dell’Est comunista. All’epoca eravamo ad un passo dalla terza guerra mondiale e solo alla luce di questa cornice storica, si può capire il testo di questo brano che, ad una prima occhiata, può sembrare davvero sembrare troppo sopra le righe. Dal punto di vista musicale, “Seconds” si regge sulla melodia di Bono e sul basso di Adam Clayton, mentre il lavoro di chitarra acustica di Edge è quasi di supporto. Poi la chitarra elettrica si unisce a quella acustica, per evitare la monotonia, aiutato da dei cori molto buoni.

E poi il memorabile intro di piano di “New Year’s Day”. Dopo l’urlo di Bono la chitarra elettrica comincia il suo crescendo fino ad una piccola deflagrazione sonora. La canzone va avanti senza particolari invenzioni musicali da parte di Edge al di là di qualche piccolo riempitivo distorto, ma con il bellissimo basso di Clayton a farla da padrone insieme alla maestosa melodia, fino allo splendido assolo introdotto ancora dal piano, prima dell’entrata della batteria (fino a quel momento un po’ anonima e monotona) che introduce una terza strofa sobria che precede il finale sfumato.  Anche qui il testo è estremamente impegnato e tratta un tema di grande attualità nel 1983, e cioè la legge  marziale imposta dal generale Jaruselski contro il sindacato di Solidarnosc a Varsavia nel Dicembre 1981, perché così nel giorno di capodanno (“New Year’s Day”) 1982 non ci fossero più pruriti libertari e fosse “tutto tranquillo” (come recita la prima strofa della canzone). È facile capire quanto questo brano fosse amato dai giovani polacchi anticomunisti che lo ascoltavano di nascosto in quei giorni in cui la musica occidentale era bandita dalle radio oltrecortina. Davvero difficile non parlare di “canzone epocale” in questo caso.

Si passa a “Like a Song”, introdotta dalla batteria che apre il tappeto sonoro per la chitarra. La musica da questo momento è davvero scarna, ma la canzone sa arrivare al cuore e alle orecchie come poche altre. Una pop duro, con la voce di Bono in gran spolvero. Una perfetta rock-arena song che, stranamente, venne suonata in pubblico solo qualche volta. Il testo parla dell’orgoglio che è all’origine delle ideologie e della fede cieca nelle proprie idee: “Troppo determinati nei nostri metodi per provare a cambiare gli accordi. Troppo giusti per avere torto”, ma nessuna delle due parti in combattimento ha ragione perché “Due torti non faranno mai una cosa giusta”, fino all’invocazione al Cielo: “Un nuovo cuore è ciò di cui c’è bisogno. Oh Dio, fallo sanguinare” perché cancelli le certezze orgogliose dei combattenti.

E veniamo ad una delle canzoni più dolci e sottovalutate della produzione degli U2, “Drowing Man”. L’inizio in dissolvenza col violino elettrico che apre alla chitarra acustica. Anche qui la forza della canzone è nella melodia, molto asciutta all’inizio per crescere lentamente. Il lavoro di violino (messo stranamente dopo la prima strofa (0:52) invece che, come dice la regola del songwriting dopo la seconda) sa trasmettere grande emozione all’ascoltatore. Poi la seconda strofa ancora più intensa da parte di Bono, fino al ritornello, in cui il cantante urla con partecipazione: “Hold On” (“Resisti!”). Poi l’intermezzo musicale prima della terza strofa che fa pensare ad un clavicembalo. Terza strofa e poi finale di violino in dissolvenza. Un capolavoro emozionale, tra i massimi del gruppo. Il testo splendido fu improvvisato da Bono al microfono, e non ha nulla a che fare con la guerra. Nonostante l’improvvisazione, le liriche sono tutt’altro che mediocri. Sono rivolte dal Signore all’uomo che sta annegando nel mare dei suoi dubbi e delle sue insicurezze: “Prendi la mia mano, lo sai che sarò là. Io attraverserò il cielo per amor tuo. Io conosco bene questi venti e correnti. Questo cambio di tempi non ti trascinerà via. Resisti e non lasciarti andare dal mio amore. Le tempeste passeranno, non manca molto. Questo amore resterà, resterà per sempre”.

The Refugee vede Bono sempre in gran forma. La chitarra impedisce alla canzone di risolversi in puro cantato. Il tema trattato è il dolore di una profuga, sottratta alla sua terra dalla guerra, e che è pronta a salpare, col suo ragazzo, per  andare in America, “la terra promessa”, abbandonando il padre che sta per andare a combattere.

“Two Hearts Beat as One” è una canzone d’amore rivolta da Bono a sua moglie (sposata durante le registrazioni di “War”): le sue  scuse per essere ormai impegnato in una "danza" (quella dei concerti imposti dallo show-business) che sicuramente lo porterà a trascurarla. Qui, bisogna ammetterlo, senza la voce sentita del cantante, e l’ottimo ritornello, la canzone sarebbe passata inosservata.

“Red Light” sono le parole che un uomo rivolge ad una prostituta perché lasci “la vita”. Sembra di sentire Robert de Niro che parla a Jodie Foster in Taxi Driver. L’assolo di tromba fa abbastanza specie in un disco degli U2, specie degli U2 dei primi anni. Ritroveremo la tromba solo in “Angel of Harlem”, con ben altro risultato.

Il brano successivo, “Surrender”, dal punto di vista musicale, è un ottimo risultato per la band, con la chitarra di Edge che può mettere in mostra il suo suono pulito-distorto, ricamando con dolcezza e durezza allo stesso tempo. Nel celebre concerto di “Red Rocks” (1983) Bono introduce “Surrender” con grande rispetto ed emozione. Oggi è un gioiello tristemente dimenticato da molti, compresi gli U2 che non lo misero nel loro Best 80-90. La canzone sembra parlare di una donna che ha fallito tutto nella vita e si è arresa e, a quanto sembra, sale fino all’ultimo piano di un edificio per farla finita (?) e poi concludere con una frase che echeggia quelle dei grandi mistici:“Se voglio essere felice, devo morire a me stessa ogni giorno di più”.

L’ultimo giorno delle registrazioni, gli U2 non erano soddisfatti della conclusione dell’album. Il bassista Adam Clayton se n’era già andato dallo studio. Allora Edge prese il basso, e improvvisò un’idea che aveva in testa. Mullen lo seguì. Mancava il testo. Bono prese la Bibbia e disse: “Mettiamoci un Salmo”. Prese il Salmo 40 e la dolcissima melodia venne fuori da sola. Poi mixarono la canzone aggiungendo il coro angelico che le fa da supporto. In meno di un’ora di lavoro era nata “40”. Finito di incidere il pezzo, i tre uscirono dallo studio come se niente fosse, non immaginando che questo schizzo sarebbe diventato il brano di chiusura di tutti i concerti degli U2 per molti anni a venire.

La copertina raffigura un bambino, lo stesso della copertina di “Boy”, figlio di un amico di Bono. In “Boy” vediamo un bambino abbastanza perplesso per quello che lo attende, a simboleggiare la fine di un periodo e l’inizio di un altro. In “War” vediamo lo stesso bambino con occhi pieni di interrogativo orrore guardando le cose tremende che il disco racconta.“Boy” è il disco dell’innocenza maturata; “War” è il disco dell’innocenza perduta.

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