Giornata grigia, a Potsdam.
Un’effimera nebbia confonde il paesaggio greve di neve sporca; le piante sulle umide colline del Brandeburgo stanno immobili come stanchi guardiani ed ostentano timidamente le intricate reti dei loro rami spogli.
Pieno dei miei pensieri, osservo tutto questo, mentre le orecchie tremano alle insinuanti note di piano che riverberano fin nell’animo a sottolineare questo paesaggio freddo ed inesorabile, tutt’intorno e, forse, dentro di me. Un paesaggio marziano, che non appartiene a nessuno ma che condiziona le nostre azioni in giornate che a volte si rivelano storte in un battito di ciglia.
Non volevo cominciare dalla fine, ma quando si è di fronte ad un attimo immaginifico, etereo e roccioso in un tempo, non si può che subire passivamente il suo magnetismo; “Martian Landscape” è un brano meraviglioso, ipnotico dalle prime note e maestoso nel suo crescendo verso territori ancora inesplorati dall’uomo. La chitarra sublima i pensieri e dà sfogo agli impulsi; il canto è sofferente eppure libero. Una canzone inaspettata, inattesa; semplicemente fantastica.
Eppure, in quest’ottimo ellepì che i britannici UFO fecero decollare nel 1976 forse non è nemmeno l’episodio meglio riuscito; ma andiamo con ordine: per costoro, “No Heavy Petting”, uscito sotto l’etichetta della Chrysalis, è il quinto lavoro in studio in assoluto, nonché terzo dacché, all’abbandono di Mick Bolton – uno dei fondatori –, è subentrato nella band lo scorpione Michael Schenker.
Posto in apertura del lavoro, “Natural Thing” è un classico hard rock, tirato e con la chitarra che imperversa per tutto il brano starnazzante come una gallina (non necessariamente olandese) trascinata per l’aia.
L’acustica apre invece la bella ballata “I’m A Loser”, poi presa a braccetto dal biondo e dal possente basso di Pete Way, accompagnati dal colorito piano di Danny Peyronel (al suo debutto con la formazione britannica e peraltro valente compositore – proprio sua è la stupenda “Martian Landscape”), pressoché perfetto per un brano di questo tenore – il ponte prima dell’assolo finale è tanta roba.
Si torna sui toni duri con la veloce “Can You Roll Her”, dove il teutone è lamentoso come sempre nel suo sottolineare il ritornello e molto incisivo nell’assolo.
Il brano che segue, senza ch’io voglia risultare blasfemo né gridare al miracolo, è semplicemente – a mio giudizio – una delle più belle ballate mai scritte: le tastiere pulsanti e poi il clavicembalo impazzito, gli arpeggi ed i lenti assoli della chitarra ed un cantato emozionante fanno di “Belladonna” un brano folgorante; uno di quei pochi brani veramente da pelle d’oca.
Si torna sul convenzionale (ma ‘sti cazzi) con “Reasons Love”, brano davvero incisivo che riesce ad essere particolarmente melodico: irresistibile il riff del chitarrista della Bassa Sassonia.
Torna invece protagonista Peyronel nella bellissima (ed ancora sua, accipigna!) “Highway Lady”: la ripresa di piano dopo l’acuto ritornello è una piccola gemma; sarà un giudizio del tutto personale, ma la tastiera (ora strumento in pianta stabile negli UFO dopo l’introduzione nel precedente “Force It”, ove era suonata da Chick Churchill, ex “Ten Years After”) si rivela ancora una volta uno strumento molte volte essenziale anche in ambito hard rock, poche balle. Molto bello anche il cantato di Phil Mogg, una delle colonne della band e personalità dominante al suo interno assieme a quella di Schenker.
Più nervosa la seguente “On With The Action”, ove la batteria del bravo Andy Parker si lancia in un pesante incedere; anche il refrain, decisamente in toni cupi, con il suo ripetere meccanico del titolo lascia cogliere il brusco cambio d’atmosfera rispetto al gioioso brano precedente.
Altro giro, altra corsa: si riprende un minimo d’allegria per il rock ‘n’ roll di “A Fool In Love”, piacevole e convenzionale sia nell’arrangiamento che nel testo; ci sta.
E poi, quel riverbero di tastiera.
Qui è dove si chiude il ciclo: qui vi è il ritorno alla neve ed al vento che presso l’Havel sferza la città.
Vi è il ritorno ai miei pensieri ed ai maledetti dati che devo analizzare di nuovo.
Vi è il ritorno col cuore a ciò che mi aspetta a casa.
Forse, qui, il marziano sono io.
Ai miei cari sulla Terra.
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