Un giro di basso solitario emerge dal nulla, pochi battiti, e subito viene seguito da un riff malefico e sporco dal sulfureo incedere sabbathiano. Ha così inizio "Stigma", prima sanguigna traccia del mefistico "Idolum", ultimo disco dei piemontesi Ufomammut. E lasciatemelo dire, loro immenso capolavoro.

La prima traccia apre quella che sarà quasi una continua jam session, fatta di densi vapori gialli che improvvisamente assumono tinte oscure e psichedeliche, erosioni e scosse telluriche che aprono in due la vostra corteccia celebrale e la vostra tranquillità domestica, polverosi venti taglienti come lame gelide, cosa strana dal momento che il disco ci proietta diretti nel centro della terra, dove sopravvivono solo fuoco e lava. E demoni, quelli evocati dalla pesantezza della batteria, dalle stratificazioni mefistiche della chitarra, dall'incessante pulsazione del basso e da una voce, ora più che mai a completamento e sottofondo di un album (quasi) strumentale.

Se già conoscete la band e avete accusato mentalmente ascoltando i loro precedenti lavori, questo vi demolirà. Bisogna essere forti per accettare la visione di un culto pagano che nei suoi sacerdoti i Pink Floyd mistici di "A Saucerful Of Secrets", e negli esecutori dei riti dalle cadenze doom i vari Neurosis, Pelican, certi Isis, Sunn O))), Kyuss e Tool (tra i principali).

Impossibile descrivere traccia per traccia, le parole scemerebbero la qualità immensa del disco. "Stigma" rappresenta le porte dell'Ade, "Stardog" ne disegna il cielo tumultuoso e infuocato, fatto di demoni straziati dal dolore eterno, ognuno con in braccio una chitarra, a affliggere le anime sottostanti con riff tellurici di immane potenza.

Segue "Hellectric", immenso e infinito assalto elettrico, un Acheronte impetuoso e scuro che ci traghetta sull'altra sponda del Pandemonio, dove ci aspetta il nucleo di questo viaggio.

Ad attenderci c'è un angelo dalle ali strappate e coperte di pece che risponde al nome di "Ammonia". Intorno ad esso un'atmosfera di relativa pace: lo zolfo è ancora nell'aria, trasportato dal vento, ma intorno a noi solo il seducente canto di questo figlio di Dio caduto. D'improvviso quella che sembrava essere una nenia celestiale si trasforma nel peggiore delle invocazioni luciferine, se è vero che rappresenta la nostra fine e la nostra dannazione, il punto in cui siamo maggiormente stregati dal disco e irretiti di fronte alla possente miscela sonora creata dai nostri.

Da qui in poi è solo buia catarsi e passivo abbandono alle bordate dei Nostri, che impietose si abbattono sull'ascoltatore senza lasciargli respiro. Il climax mistico di "Nero" ha un che di sacro, se solo non fossimo dove siamo, "Destroyer" è annichilente, disarmante e distruttiva.

Menzione d'onore all'ultima traccia, altro apice del disco e punta (o vertice basso) del nostro personale inferno,"Void/Elephantom". Siamo probabilmente di fronte a una riedizione riveduta e corretta in chiave stoner/sludge/doom di "A Saucerful Of Secrets" dei Pink Floyd, la canzone forse più incredibile dell'omonimo disco del gruppo di Cambridge. Un manto incandescente ci circonda, nei riflessi del rosso lavico si intravedono scampoli di universo e di cielo sereno e stellato che non rivedremo probabilmente più, brevissimi ricordi che ancora attanagliano la nostra mente e che ancora si ostinano a non lasciarci all'oblio. Da qui in poi il nulla, solo l'abbandono alla musica e qualche sussulto di tanto in tanto, al quale ormai saremo però abituati.

Un disco magistralmente realizzato, un viaggio infernale e metafisico sicuramente non da tutti. Ma per quei pochi che riusciranno a portarlo in fondo, sarà uno dei trip sonori più incredibili sinora fatti, senza dubbio superiore alle altre produzioni degli Ufomammut uscite finora.

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