Ok, vale il discorso già fatto per l'album di remix dei Soft Cell che ho indegnamente recensito prima di Natale. Operazioni commerciali, spremitura e raschiatura del fondo del barile e tutte 'ste menate qua. E siamo tutti d'accordo. Si rasenta il patetico, è un mondo che gira fuori tempo e se c'è bisogno di queste farse allora meglio andare a casa tutti.

Questa è l'ottica di chi vive con sospetto le seconde stagioni dello stesso antico amore, o di chi non gliene può fregare di meno perché se la tira con qualcosa di più intellettuale o più violento o più etereo o più ricercato o più acustico o più la mia è musica e la tua è 'bbona pe' l'ammazzatora. Nella mia personale ottica ho vissuto la notizia, pervenutami dalla benedetta mailing list cui ero iscritto da qualche anno, che a 25 anni dall'ultima apparizione pubblica Ultravox sarebbero tornati assieme per una serie di spettacoli. A parte che non ci potevo credere, perché alle reunion (leggi sopra al paragrafo "patetico") ci ero abituato, ma a questa specificatamente non ci avevo mai pensato neanche per scherzo, forse perché di tutti i piccoli mondi che ho esplorato in giovane età mi è sempre rimasta la più cara, la più romantica e quella insostituibile con un'altra cosa che volgarmente avrebbe provato ad assomigliargli. Aggiungo in maniera sicuramente ignominiosa. Erano finiti altrove, uno a fare mirabilie soliste (Currie), un altro a vendere orologi in tv (Ure), un altro a fare finalmente un lavoro onesto (Cross), l'ultimo e più scapestrato a farsi i cazzi suoi al sole della California (Cann).

Mi sono bastati trenta secondi per leggere, realizzare, alzarmi, spostarmi di 6-7 metri e dire frasi sconnesse dall'incerta traducibilità alla mia compagna, e terminare l'imbarazzante dialogo con l'unica parola di senso compiuto di tutto il rantolo: "Andiamo!".

Ho visto Ultravox a Roma al Palaeur nel 1981 in una fredda serata di dicembre tre, poi all'umido dello stadio comunale di Nettuno nel 1984 di settembre quattro, poi al Tendastrisce nell'ottantasei con Cann sfanculato e sostituito da Mark Brzezicki dei Big Country, ma era già una cosa che non era la cosa che avevo così amato. L'ultimo show al Palladium nel 93 di dicembre venti, con Currie a gestire il marchio del vecchio business e quattro legionari tra cui un cantante improbabile, ma fecero addirittura bene forse perché prima di entrare Currie si era magnato due supplì consecutivi alla pizzeria "Er Panonto" della Garbatella, immagino mandando dentro di sé sonoramente affanculo il pudding e il porridge.

Venerdì scorso per la prima volta mi sono commosso alla fine di uno show. Non sono un grande frequentatore, ma ho visto Springsteen (per amicizia, sennò mica ci andavo), Bowie, Ferry, Foxx, Tuxedomoon, Residents, New Order e tanti altri. Ma una cosa così non l'avevo mai provata. Forse perché non mi ero mai sentito adeguato a varcare la soglia di casa Londra, perché chissà i soldi che ci vogliono, perché la pigrizia, perché ci vanno tutti perché ci devo andare io? Benedetta quella mail, e adesso mi sento un fan fortunato.

Alla quinta esibizione dei miei personali ricordi, i miei 4 eroi (tutti oltre i 55 anni), si sono rimaterializzati d'incanto e hanno tirato giù l'Hammersmith Apollo con uno show preciso, caldo, studiato, sputatamente calcolato, falso, maledettamente musicale, furbo, merchandisingissimo e non so più cosa. Ma soprattutto entusiasmante. Accanto a me, nella goffaggine della galleria (sotto tutto esaurito la mattina dell'apertura della prevendita 5 mesi fa), mio figlio premiato con questa cosa che gli piaceva molto fare (a Londra per un concerto con papà, dopo che a tredici anni aveva avuto il battesimo a Torino coi New Order) ma che strana sta cosa lui che ha passato il periodo metal dell'adolescenza in subbuglio e ora sta scoprendo la musica che sia facile tosta vera artefatta ma musica.

A tutti e 5 i concerti sono stato coi miei amici. Siamo in 4 e stiamo assieme dal 1978. Uno di noi andava a Londra fin dall'82 tutti gli anni e a me ha portato barche di vinili dodici pollici che qui non avrei mai reperito. Realizzato il sogno di andare sul posto prima o poi, e contemporaneamente andarci con mio figlio, comprarsi i cd lì che costano la metà che a Roma e fare un sacco di altre cose meravigliose in 3 giorni, dovrei a questo punto dire qualcosa del concerto.

E perché? Diciotto tracks tratte dai 4 album centrali realizzati con Ure, con setaccio a mani basse da "Vienna" e "Rage In Eden", e gli inevitabili hit un po' mezzi tramortiti da "Quartet" e "Lament". Che vi dico a fare i titoli, tanto non vi piacerà questa musica ma forse vi piacerà questa confidenza, poco recensione e molto sai che mi è successo?

E' stata la serata più emozionante della mia vita, se parliamo di live, e sono così scemo che ho fatto scorrere la carta di credito duevolte per comprarmi magliette felpe e persino la borsa del portatile marchiata con l'oggetto della mia passione. A due terzi del decennio che mi porterà ai 50 anni non è male come sindrome da rincoglionimento. A proposito. Il concerto è stato bellissimo. Domani risuoneranno a Londra e ci faranno il dvd che non poteva mancare. Non lo mancherò nemmeno io.

Hammersmith Apollo esaurito: qualche lunatico, moltissimi uraniani, una cifra di marziani e plutoniani. Poche maldestre ma educate venusiane. Indegnamente lì anche noi, veri ultravoxiani.

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