Quando si parla di anni 80 gli Ultravox devono sedere al tavolo dei senatori. Durante il periodo con John Foxx al canto hanno regalato splendidi lavori di punk decostruito sugli insegnamenti di Eno-Bowie, in seguito con l'arrivo di Midge Ure, virarono verso un suono più sintetico e melodico. A questo punto la critica girò le spalle al gruppo, con un atteggiamento snob e superficiale, includendoli spesso nel calderone dei gruppi da classifica, e delle tante immonde schifezze che spuntavano come funghi in quel periodo. Era il tempo dell' edonismo, un tempo fatto di superficialità, ma anche di tensioni latenti e nascoste.
Bene, nessuno come gli Ultravox di Ure ha saputo trapiantare nelle sonorità "commerciali" quel senso di decadenza mitteleuropea, quel romanticismo struggente che emanavano le corde degli archi di Billie Curie, forse la vera anima del gruppo.
I loro arrangiamenti erano a volte fin troppo leziosi, ma sempre di gran classe ed eleganza, lontani anni luce dal resto della compagnia di "Top Of The Pops".

Vienna è il primo lavoro dopo la dipartita di Foxx, dato alle stampe nel 1980. Rimane forse anche il migliore, sicuramente il più rappresentativo della loro arte.
L' iniziale " Astradyne " è uno strumentale cugino delle visioni glaciali del Bowie berlinese, tra muri di synth e cavalcate di batteria alla Neu!, che introduce la travolgente carica di "New European". Un pezzo dalla melodia orecchiabile ed epica, velatamante malinconica, con la voce di Ure perfettamante a suo agio in questi crepuscoli urbani, tutto termina con una splendida coda di pianoforte, congedo raffinato ed originale.
Il loro non è synth-pop, ma bensì synth-rock, la carica che sprigionano i loro brani hanno infatti più affinità col rock che col pop. "Private Lines" conferma questa teoria immergendosi in un travolgente vortice sintetico, con un ritmo sempre presente, ma soprattutto con una certosina cura per il particolare, per la cesellatura ricercata, ma mai barocca, ridondante. La classe si sente, e , in questo caso , si vende anche. Il che non è necessariamente un peccato capitale, anzi. "Passing Strangers" prosegue il discorso sempre su alti livelli, fra intermezzi sempre di gusto. Con " Sleepwalk " si entra nelle discoteche più " dandy " del periodo, ma dalla porta principale.
Quasi per "scusarsi" gli Ultravox piazzano a seguire il brano più sperimentale del lotto, "Mr.X", un' ipnotico viaggio notturno tra i meandri di un'Europa divisa dalle contraddizioni, e unita da un sogno figlio di un sonno vigile, attanagliata dal timore e sedotta dal trucco pesante. Il tono continua ad essere cupo con l'indiavolata "Western Promise", un titolo emblematico e forse anticipatore...
Ed ecco la canzone che dà il titolo all'album, "Vienna". Questo electro-glam, struggente ed evocativo, è forse il manifesto del loro nuovo corso. Una lento incedere impreziosito dai rintocchi di un piano lacrimoso accompagnano le declamazioni disperate di Ure, mai così "espressivo". Il brano prende velocità e viene avvolto dalle spire di una viola malinconica, per poi terminare con un enfasi da "grandeur" parigina. Un pezzo simbolo degli anni 80.

In definitiva, quando si valuta un lavoro ci si dovrebbe liberare da pregiudizi e da etichette a compartimenti stagni. Bisognerebbe guardare a fondo il suo valore, sviscerandone gli aspetti più profondi con lucidità, e questo non fu fatto. "Vienna" è un piccolo capolavoro, che può benissimo non piacere, ma che dice molto del periodo in cui è stato concepito. E' un disco rivelatore, che "parla" della sua epoca, e ne rappresenta, nel bene e nel male, gli aspetti salienti.

Carico i commenti...  con calma