Da fanboy della band quale sono, mi è parso quasi un sacrilegio non trovare nel ricchissimo database di Debaser la recensione di questo piccolo, algido gioiellino targato Ulver. 22 minuti e 55 secondi di pure emozioni per quello che è uno dei picchi creativi dei cari lupi norvegesi. Non un solo tassello è fuori posto in questo EP e, a dispetto della brevità dell'opera, c'è tanta carne sul fuoco. "A Quick Fix of Melancholy" rappresenta la summa e al contempo il superamento di quanto gli Ulver avevano fatto fino a quel momento : l'elettronica glaciale e la sperimentazione, cari a Rygg e soci dall'abbandono del black metal degli esordi, ora convivono, anzi si amalgamano con naturalezza con una strumentazione più classica (sebbene si tratti chiaramente di campionature e non di strumenti reali), con gli archi appassionati a svettare su tutto il resto.

Semplicisticamente, si potrebbe dire che questo piccolo grande disco, la cui natura e portata emotiva è esemplificata e anticipata dal titolo stesso, sia di mezzo, di transizione : il passo successivo a Perdition City e il preludio a Blood Inside e Shadows of the Sun (le cui atmosfere soffuse riprendono in parte il discorso iniziato in questo EP). Ma relegarlo al semplice ruolo di "banco di prova" per il successivo full-lenght non renderebbe giustizia alle quattro monumentali tracce che lo compongono.

Più che in passato, la voce di Kristoffer Rygg (che per i fan di vecchia data e gli amici probabilmente resterà sempre "quel" Garm) catalizza l'attenzione dell'ascoltatore, prima suadente e soave, poi sofferta e possente, uno strumento fra gli strumenti. Il cantante e frontman degli Ulver ha finalmente acquistato quella confidenza necessaria per dominare il tappeto di strumenti e la sua voce non è più relegata al ruolo di sporadico accompagnamento. E' capace di emozionare, scavare nei profondi recessi delle nostre anime, anche quando non proferisce parola e si limita a modulare eterei vocalizzi in "Eitttlane", rarissimo caso di remix (riuscitissimo) in grado di eguagliare e persino superare l'originale, la "Nattleite" (di cui Eitttlane è infatti un anagramma) di "Kveldssanger".

In Vowels, da moltissimi fan, me compreso, considerata il capolavoro nel capolavoro, lo riusciamo quasi a immaginare il caro Kristoffer mentre assume la stazza, l'imponenza e soprattutto l'estensione vocale di un cantante lirico. Indescrivibile la sensazione prodotta dal contrasto fra la sua voce calda e gli archi gelidi che marciano minacciosi e claudicanti in un build-up che conduce alla liberazione finale. Si palesa in questo EP una certa attrazione degli Ulver nei confronti di certa musica neoclassica o di alcune colonne sonore. Loro stessi, d'altronde, avevano già scritto nel 2002 il commento musicale al cortometraggio norvegese "Lyckantropen Themes" e si cimenteranno, sempre nel 2003 (stesso anno di pubblicazione di "A Quick Fix...") nella composizione della colonna sonora del film "Svidd Neger". 

In "Doom Sticks", primo dei due brani strumentali dell'EP, si ha quasi l'impressione di sentire Danny Elfman, il compositore di fiducia di Tim Burton, dibattersi fra incursioni epiche e ottoni sintetizzati. Sarà la mia mente che viaggia e trova chissà quali strambe connessioni, ma più di una volta mi è capitato di vedere Edward Mani di Forbice correre per un paesaggio innevato mentre l'ascoltavo.

Per quanto riguarda le lyrics, invece, troviamo pochissime parole (e moltissimi giochi di parole in "Vowels"), ma tutte quante altamente enigmatiche, evocative e funzionali alla Musica. Sì, sì, con la M maiuscola.

Ambient, elettronica, una voce piacevolmente camaleontica e tanto, tantissimo gelo, trait d'union e caratteristica imprescindibile in ogni disco degli Ulver. Consigliatissimo per addentrarsi nel loro eclettico mondo, allo stesso livello dei loro abbondantemente decantati capolavori. 

     

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