L'ultimo lavoro degli Ulver è quel perfetto (e consueto) connubio di tenebre, mistero ed elettronica cui i nostri ci hanno abituati da tempo. "Blood Inside" è frutto di due anni di ricerca e sperimentazione, e se non mancherà di piacere agli irriducibili fan, potrebbe nel contempo conquistare qualche nuovo adepto del genere. Non moltissimi, tuttavia.

Richiami continui ai lavori più oscuri dei Cure e dei Bauhaus, a creare un'atmosfera decadente e mistica: una musica, come suggerivano loro stessi, da ascoltare "al buio in cuffia". Qui tutto il lavoro eseguito nei precedenti dischi esce fuori nuovamente rielaborato, e pur non facendo gridare al miracolo riesce a soddisfare pienamente anche chi, come me, proprio non sopporta la sterile ripetizione di "formule funzionanti". Anche questo disco aggiunge qualcosa di nuovo al loro "linguaggio". Gli Ulver sono definitivamente approdati sulle sponde dell'ambient/elettronica estrema, e tutto sembra funzionare alla perfezione. Difficile fornire ulteriori classificazioni per una musica a tratti onirica (lato positivo), a tratti talmente degradata da spingere l'ascoltatore alla noia (lato negativo). Tuttavia, una volta fatto l'orecchio, diventa abbastanza fattibile, anche per chi non conosce affatto i nostri, ascoltare e concepire il loro sound misantropico, misterioso, maledettamente morboso ed affascinante. Considerando che, come suggeriva qualcuno, siamo sempre stati ascoltatori superficiali, bisogna tenere presente che un disco del genere richiede un'attenzione non da poco. E diversi ascolti, prima di essere valutato in positivo o negativo. E, non dimentichiamo, un disco in controtendenza rispetto al black metal primordiale del pazzesco "Nattens Madrigal". Qualcuno la potrebbe chiamare incoerenza, qualcun altro estro artistico: a voi la scelta, dopo l'ascolto dell'uno e dell'altro. È vero, inoltre, che alcuni momenti sono tirati un po' troppo per le lunghe ("Blinded by Blood"), ma bisogna tuttavia badare ai curatissimi passaggi degni dei migliori King Crimson, come in "It is not Sound" e "In the Red". In quest'ultima, in particolare, i nostri eseguono alcuni passaggi riconducibili al jazz, ma senza ostentare virtuosismi inutili al contesto.

I loro testi sono carichi di misticismo e di oscura poesia, e contribuiscono certamente ad abbellire una musica, nonostante tutto, destinata a pochi: i loro versi ermetici e misteriosi ci accompagnano dalla prima all'ultima traccia, in un viaggio dalla vita fino alla morte. Dopo aver imparato la lezione dei Tangerine Dream (ma non solo), i nostri dimostrano di essere fini conoscitori di progressive-rock, esibendo nel contempo dei passaggi jazz veramente degni di nota.

Con gli Ulver l'elettronica sperimentale acquisisce (anche oggi) un senso compiuto: viene da chiedersi, onestamente, se sia stato poi un male che l'epoca "metallica" della band sia definitivamente tramontata...

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