Nel 1961, con l'incoscienza dei suoi pochi anni, Umberto Bindi sale sul palco di Sanremo con ''Non mi dire chi sei'', canzone infarcita di sfumature classicistiche, in virtù del suo trascorso da conservatorio più che invidiabile. Solo 37.000 voti per un interpretazione che fece parlare di se, mai per la canzone in questione, ma per un vistoso anello portato al dito dal cantautore di Bogliasco. ''Della mia canzone non fregava niente a nessuno. Volevano solo sapere se ero finocchio''.

Erano anni in cui la sottocultura borghese e moralista metteva radici nelle case e nelle televisioni degli italiani. Quella che oggi definiamo paura del diverso, che altro non è che misera disinformazione e trionfo dell'ignoranza, pervedeva allora più che mai, complice una carenza culturale che oggi in linea teorica è ai massimi storici, e che proprio per questo rende ancor meno giustificabile qualsiasi tipo di discriminazione. Il rischio di mettere a repentaglio una carriera passava anche attraverso verità di questo tipo, che il più delle volte rimasero celate negli anni, venute alla luce in periodi successivi o rese segrete fino alla fine dei giorni. E forse Lucio Dalla aveva ragione a scindere personaggio e vita privata, al punto da rendere la sua sessualità un tabù e un indice di discussione per chi crede, dopotutto, ci sia dell'altro dietro le righe dei suoi testi. Passando anche attraverso chi, come Renato Zero, l'ha resa parte integrante del proprio personaggio.

Quell'edizione la vinse Betty Curtis. O meglio. La vinse Mogol, che scrisse per lei ''Al di là'', anticipando un ondata di successi italiani che vide protagoniste le migliori interpreti della nostra penisola, di cui è d'obbligo citare quella Gigliola Cinquetti, che qualche anno dopo cantò di amori troppo giovani che, riallacciandosi a quanto detto in precedenza, venivano additati come immorali da un bigottismo esagerato, schiavo di una subcultura ai limiti dell'esasperante, che si esprimeva attraverso censure di ogni tipo, mietendo vittime illustri. Passando anche per chi, circa 10 anni dopo, dalla penna di Bigazzi, fece suo il 71 con ''Montagne Verdi''.

Perchè tutto è figlio del suo tempo, e forse era giusto che quell'edizione venisse portata a casa da chi, nell'immaginario comune, incarnasse al meglio musicalmente quel periodo storico. L'Italia non era ancora pronta per la scuola genovese, che pochi anni dopo avrebbe preso per mano il cantautorato, trasformandolo e plasmandolo attraverso centinaia di sfaccettature. Nonostante un pioniere come Modugno, che con Genova c'entrava ben poco, avesse già aperto le porte ad un movimento ancora acerbo, ma che vide come suo embrione quel ''Vecchio Frack'' che tanto fece discutere per tematiche inerenti a un suicidio enigmatico, definibile quasi tematica pionieristica di un movimento che stava per vedere la luce. L'America di Bob Dylan cede il posto alla Francia e ai suoi chansonnier, attraverso l'ermetismo e il surrealismo di chi, qualche chilometro piu in su, dava spazio a un marcato impegno nei testi, come Brassens e Aznavour, passando per Brel. In una conversione che ricordava a tratti quella tra Naturalismo e Verismo, che vide in Verga massimo esponente di un genere letterario figlio ma mai gemello di quello che l'ha preceduto.

Un cambio di rotta esasperante, che traeva radici nella sofferenza della quotidianità, nell'amore vissuto sul proprio corpo e cantato attraverso l'esperienza dell'autore. L'obbiettivo era muovere le coscenze, e spesso ci si arrivava attraverso un'inquietudine interiore che in alcuni casi portò ad epiloghi tragici. Ed è il caso di quel tragico 67, quando l'inumana sensibilità di Tenco porta quest'ultimo al suicidio, dopo aver toccato con mano che collegare cuore e pianoforte risultava estraneo a un pubblico che non riusciva a individuarne fragilità poetica e intensità compositiva. Nel 63 Gino Paoli tenta il suicidio, sparandosi un colpo al cuore, proiettile che ancora oggi risiede nel suo corpo, a causa dell'impossibilità dell'estrazione. Piero Ciampi, genio e sregolatezza, personalità divenuta con gli anni celebre per complessità e inadeguatezza ad ogni contesto sociale, si lascia lentamente morire nell'alcol e nella sua cirrosi epatica. Un movimento che prende maggiore forma nella figura di Fabrizio De Andrè, nei suoi emarginati, nei disadattati, nelle puttane, negli ultimi. Figura così pesante da distaccarsi da quella matrice, incarnandosi nell'icona anarchica del decennio successivo, e in quel ''cattivo maestro'' che fece della sua arma più forte il verso e la rima.

Fu tutto messo in discussione: dalla politica all'amore, dall'istruzione all'estrazione sociale, dalla religione a quel sentimento di libertà tanto caro. L'atmosfera conservatrice e retrograda dell'epoca impiegò poco a puntare il dito verso i cattivi maestri, responsabili, forse, solo di dare una scossa alle coscenze di chi, per qualcuno, era meglio le teneresse spente. Anche in virtù di chi, apparentemente in modo innocente, sognava ''un mondo diverso, diverso da qui''.

Umberto Bindi era un perfetto membro della scuola genovese, per intimità e approccio alla canzone. Si differenziava dal contesto poichè amante della struttura musicale ricercata e della raffinatezza classicistica più che delle parole. Personaggio schivo e riservato, ascoltava 7 ore di musica classica al giorno, come dicono gli amici che l'hanno conosciuto. Compositore sopraffino e mai banale, messo a lungo in secondo piano per un'omosessualità che lo mise alle corde. Scrisse numerose canzoni per altri artisti. E' del 59 ''Arrivederci'', cantata anche da Mia Martini, altro personaggio con la quale l'ambiente non è stato mai cortese. Con l'amico Gino Paoli pubblica un pugno di canzoni, e ancora Califano, Ornella Vanoni, Iva Zanicchi. ''Il mio mondo'' fa il giro del globo, attraverso l'interpretazione in lingua inglese di Cilla Black. E ancora ''La musica è finita'', divenuta in breve un classico del suo repertorio. per la sfrontata intimità delle sue parole, che la rendono quasi un triste presagio.

Ma è con ''Il nostro concerto'' che Umberto compone un brano icona non solo di un controverso periodo storico ma di un personaggio musicale da riscoprire. E le prime note del brano sono tutto tranne che pop. Umberto teletrasporta l'ascoltatore in una dimensione fatta di pianoforti ed archi, nella classica, la sua classica, croce e delizia nonchè punto di svolta del suo approccio alla canzone. Qualcosa di così elegante da schiacciare il palco di canzonissima. Ma la voce che fa da contraltare alla musica impreziosisce la composizione, non la stona ne la esageara. Sguardi lontani e mani che si cercano, un amore perduto che supera lo spazio e il tempo in un vortice di note che trasudano eleganza e poesia attraverso una voce precisa e struggente. La figura evanescente e sfumata di una donna che sembra quasi prendere vita tra i tasti del pianoforte. La intravedi e le passi attraverso, ma svanisce nel rumore degli applausi dopo gli ultimi versi:

Accanto a te, mi troverai
e troverai un po di me
in un concerto dedicato a te

Dieci settimane consecutive primo in classifica. La delicatezza delle note di Bindi non sopravvisse agli anni 70, ricordata come figlia di un periodo passato e di un personaggio mai completamente accettato. Lui, che si definiva una cicala, e non una formica, per la sua tendenza a sperperare denaro, vittima di un mondo che non ha mai fatto fatica a scagliarsi verso il diverso, verso il presunto ambiguo, verso lo sconosciuto, ponendo in secondo piano la musica del compositore. Nel 1988, al Maurizio Costanzo Show, Umberto decide di dichiararsi, denunciando le ingiurie che è stato costretto a subire nel corso dei suoi anni. Cadde in disgrazia negli anni 90, senza più un soldo, al punto che l'amico Gino Paoli chiese di applicare per lui la legge Bacchelli, che prevedeva un sostegno economico per chi, famoso, avesse difficoltà economiche. Lui, che non aveva mai chiesto nulla a nessuno. Incarnando, così, la perfetta figura del cantore genovese.

Il 23 maggio del 2002, 'la musica è finita' davvero. Ma mai le note del suo concerto. E viene spontaneo domandarsi come Umberto sia potuto rimanere all'ombra di un perbenismo asfissiante per così lungo tempo. Ma la sua grandezza prende vita proprio nella delicatezza e nel modo silenzioso, quasi in punta di piedi, con la quale la sua musica, nel corso degli anni, si è resa superiore a qualsiasi critica e qualsiasi oltraggio. Perchè se si perde il diritto di essere diversi, si perde il diritto di essere liberi.

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