Lingomania, la band italiana di jazz elettrico e fusion più influente e seminale degli anni ottanta, ha visto militare tra sue fila musicisti che al giorno d'oggi riempiono i cartelloni dei migliori festival jazz. Gente del calibro di Danilo Rea, Maurizio Giammarco, Furio Di Castri, Roberto Gatto, Flavio Boltro, Enzo Pietropaoli... E Umberto Fiorentino.
Il chitarrista romano è da anni un "musicians' musician", venerato da schiere di chitarristi per la disarmante facilità con la quale riesce a elaborare un fraseggio di notevole contenuto tecnico, senza mai rinunciare al buongusto e alla musicalità. Un grande didatta, oltre che un grande esecutore, titolare di corsi e autore di diversi testi che hanno come argomento l'improvvisazione alla chitarra.
Un perfezionista maniacale, anche dal punto di vista della composizione e dell'organizzazione dei suoi dischi, che dà alla stampe con parsimonia, come bottiglie di vino pregiato. "Ulisse" è del 1995, e si avvale della produzione artistica di Gianfranco Salvatore, un quotato musicologo e critico musicale che non ha paura di sporcarsi le mani, "saltare la staccionata" e passare dalla parte dei musicisti, producendo opere interessanti e di qualità.
Il batterista Vinnie Colaiuta è l'ospite straniero che suscita la curiosità dei più, ma in realtà Fiorentino si fa accompagnare da una nutrita schiera di connazionali, scelti tra i suoi migliori collaboratori di sempre. Spiccano i nomi di Fabrizio Sferra, che acquisterà popolarità incidendo con i Doctor 3 di Danilo Rea, il bassista Dario Deidda, forse meno noto, ma che vanta una pletora di collaborazioni con artisti sia del jazz che del pop-rock (Maurizio Giammarco, Fiorella Mannoia), e un pianista/tastierista quasi sconosciuto ma assai interessante: Ramberto Ciammarughi. Alcuni brani ospitano una sezione fiati in cui risaltano Stefano D'Anna e Gabriele Mirabassi, ma tutto sommato si tratta di un contributo episodico alla riuscita del lavoro.
Il disco mostra un variegato insieme di influenze e stili musicali, tutti maneggiati con una certa abilità da Fiorentino, che non teme di perdersi in mezzo a materiale tanto eterogeneo. L'influenza del gruppo di origine è ancora forte nella title-track, dove il nostro fa bella mostra del suo magistero strumentale, e nel rarefatto valzer "La variante di Lüneborg". Molti titoli sono presi da opere letterarie che lo hanno particolarmente ispirato, come "Manuale Di Conversazione" che sfoggia una gioiosa fanfara di fiati e un bell'assolo di Ciammarughi. Ma emerge anche la volontà di esplorare nuove direzioni, ad esempio l'uso creativo dell'elettronica: con intenti squisitamenti geometrico-contrappuntistici, come in "Effetti Collaterali" e "Gödel, Escher, Bach", ma anche per confezionare situazioni surreali ed evocative ("Il Collasso Dell'Universo"). Ancora, "La Gran Bevuta", suggerisce echi "free", stemperati da un coro stonato di amici.
L'affiatamento tra i musicisti è palpabile, e la band trova in "Footprints" di Wayne Shorter un veicolo ideale per inanellare una sequela di assoli micidiali: in evidenza l'assolo di basso di Deidda, memore di Pastorius, ma che termina con un climax quasi Hendrixiano. Di grande impatto emotivo la rilettura di "Sign Of The Times" di Prince, dove il nostro si concede un dialogo con se stesso, sovraincidendo due vorticosi assoli di chitarra elettrica.
In seguito Fiorentino intraprenderà nuove e diverse strade, concentrandosi da un lato su una ricerca a tutto campo, difficilmente etichettabile, dall'altro su un ritorno all'acustica e al jazz più canonico, per così dire. "Ulisse" rimane testimonianza di una stagione che ha prodotto molta musica di dubbia qualità, ma a ben cercare, anche delle piccole perle lucenti, come questa.
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