Uno dei dischi più sottovalutati di quella fantastica stagione per la musica “underground” italiana che fu la seconda metà degli anni novanta. Questo lavoro viene partorito dopo più di sei mesi di completo isolamento dell’artista marchigiano, dovuti ad una serie di eventi che lo portano al completo eremitismo e che si tramutano in un lavoro oscuro e pesante, incredibilmente claustrofobico… sia nei testi che nelle soluzioni musicali.
Palazzo si distacca violentemente dai Massimo Volume per contrasti artistici e nello stesso periodo perde la sua ragazza, e di conseguenza la stima in se stesso e la voglia di andare avanti, tanto che l’iconografia del booklet si snoda tra cerotti, blister di pastiglie, garze ospedaliere e plettri spaccati e “ricuciti” con graffette da ufficio... Da quella fucina di talenti che è la Bologna degli anni novanta se ne torna nelle marche, in campagna e ne riemerge con l’ossatura di “La Vita è Facile”, arruola Fabio Petrelli al basso e Cristiano Marcelli alla batteria sotto l’acronimo di Santo Niente ed entra in studio di registrazione con la produzione artistica di Marco L.Lega ed esecutiva di Gianni Maroccolo, entrambi del Consorzio Produttori Indipendenti. Il prodotto con cui ne esce è un disco granitico, un frullato di sonorità care ad Helmet, Shellac, Jesus Lizard, Fugazi… costantemente intrise di lunatica malinconia à la Kurt Cobain, il tutto con un gusto tipicamente mediterraneo e “sense of humor” noir che ricorda un po’ il Flying Circus dei Monty Python.
Palazzo non ha nessuna intenzione di essere intransigente con l’ascoltatore, nei momenti più difficili della nostra vita si riesce ad entrare in sintonia con lui, ma mai avremo una parola di conforto o di comprensione da questo disco… nonostante il titolo. Una serie di canzoni monolitiche, “Cuore Di Puttana (hardcore)”, la title-track, “Elvira”, “Finalmente Sterile”, “Tu Non Mi Dai Nulla”, “Fata Morfina” suonano come enormi mezzi pesanti lanciati su strade dall’asfalto infuocato, intrise in storie borderline un po’ assurde e sempre in bilico tra realtà e finzione… “L’Aborigeno” e “Storia Breve” sono gli episodi più spiazzanti del disco, racconti di improponibili personaggi (un barbone da spiaggia il primo ed una ragazza che esce da una discoteca completamente ubriaca la seconda), recitati con voce secca e ferma che non tradisce alcuna emozione per le vicende dei protagonisti.
“Hai sempre detto è una brutta situazione, hai sempre detto qui c’è troppa confusione. Hai sempre detto che vuoi qualcosa di migliore. Hai sempre sostenuto una sola soluzione: andarsene via”
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