Tinto di nero.
Un lavoro oscuro, cupo, dall'incedere "dolcemente"martellante,serrato e biecamente malvagio. Non c'e'alcuna pietà di sorta, i cinque svedesi sradicano ogni ostacolo, massacano con un'eleganza stupefacente dando origine ad un capolavoro assoluto del death scandinavo, quella belva dalla dentatura affilatissima al nome di "Ancient God Of Evil".
Composto e prodotto a cavallo tra il 1994-95 questo lavoro si compone di nove "artigli" dalla potenza inaudita, infarcita di raffinati tecnicismi, ritmiche schizoidi e vocals graffianti,spropositatamente rabbiose.nelle note della band di Stoccolma convergono tutte le peculiarità che hanno fatto la fortuna del genere, elaborate con originalità, arricchite da un groove e da un' immediatezza strappa applausi.
Il tornado sonoro ruggisce violento nell'apertura di "Life Demise", le chitarre feriscono brutalmente, il drumming sincopato si lancia in accelerazioni all'arsenico mentre la voce del tenebroso Micke, sebbene ancorata ai clssici stilemi black-death, si impone feroce e stridente.
"Eye Of The Greyhound" la segue a ruota diminuendo l'adrenalina ma arricchendosi di armonie urgenti e melodicamente ineccepibili. L'assalto death-thrash di matrice svedese ringhia bellicoso in "Oceans Of Time", il riffing mozzafiato impressiona per capacità strumentali e il duettare con le urla putrescenti del singer ci trascina in un vero inferno sonoro.
Al limite dell'approccio sinfonico nelle note introduttive"Dead Calm" incarna l'anthem simbolo di quest'opera grazie all'immediatezza delle linee melodiche molto classiche ed ai pregevoli solos dello scatenato Mellberg. Il fluire irascibile delle tracks e'incessante, infatti dopo la riflessiva strumentale "Mireille" l'odio biforcuto si scioglie in velenose virate ritmiche nella maledizione sonora di "The Depths Of A Black Sea" e "Ruins". Fanno capolino atmosfere di memoria Dismember-At the gates, filtrate dalla personalità "melodica" dei nostri, il tutto contornato da ambientazione apocalittiche create dai ruvidi grunts e da occasionali keys d'effetto.stratosferiche.
"Dying Emotions Domain" brutalizza sguaiata, grazie al rifferama spudoratamente thrash ma esplode in un ritornello a tinte sinfoniche assai solenne mentre la chiusura viena affidata ai mid tempos articolati di "Die Alone". Ancora una volta il drumming di Peter sbobina un assalto di ferale doppia cassa dove riffs al limite del marciume sonoro di matrice black rincorrono tastiere impazzite ed un solo "bruciante" di affilata efferatezza.
Un unico assalto sonoro, un fiume in piena di lava incandescente che lascia attoniti e storditi ma ammaliati da cotanta barbarica "grazia".
Spietati.
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