Il più grande pregio della musica degli Underworld è la sua capacità di portare la mente altrove, di condurre l'ascoltatore verso una oscura e straniante dimensione psico-fisica, oltre che all'abbandono delle normali capacità percettive e sensoriali, perse nel "dolce naufragare" tra textures complesse, suoni stratificati, ed incedere ipnotico di precise costruzioni ritmiche.
L'ep "Dark & Long", pubblicato nel settembre del '94 per promuovere l'omonimo singolo, tratto dall'album d'esordio "Dubnobasswithmyheadman", è un perfetto esempio dell'inesauribile flusso di creatività mista a talento che sembrava benedire ogni nuova uscita del trio inglese nella decade "pre-millennium", ma, al tempo stesso, è un lavoro che segna un ulteriore passo in avanti rispetto alle sperimentazioni condotte da Hyde, Smith ed Emerson nei pur validissimi album di quegli anni.
Altrove frenato da precise imposizioni e limitazioni inerenti compattezza e durata media delle composizioni, il "dark train" dei nostri, nell'ep in questione, procede spedito, aggirando qualsiasi ostacolo e intoppo, e regalando a tutti i fan ed estimatori una manciata di pezzi che, in più di un occasione, abbandonano la forma-canzone e sfiorano la suite e la struttura sinfonica.
L'esigua track-list (sei tracce in tutto) permette un'analisi più o meno approfondita dei singoli brani, anche se è davvero interessante notare, durante l'ascolto del disco, che ogni distinzione o confine tra piste di registrazione risulta sovvertito o abbattuto, segno tangibile che l'incantesimo prodotto dalla musica degli Underworld è giunto a buon fine.
Si parte con la 7" version del singolo "Dark & Long", unico pezzo dalla durata pressocchè "normale", in cui fa capolino la sensuale voce di Karl Hyde, sempre in bilico tra cantato e spoken-words, che quando recita "I want a wall of tears to wash away..." sembra condurre ad un'inattesa catarsi, quasi una purificazione raggiunta attraverso sonorità magnetiche e drums coinvolgenti. Da brividi. Gli oltre venti minuti della successiva "Thing In a Book" sfuggono ad ogni definizione, passando da momenti sospesi, dal forte sapore ambientale, ad altri dominati dalla cassa pari, che conducono ad una sorta di interiorizzazione del processo stesso del ballo, e dei decilitri di sudore versati in clubs trendy e superaffolati.
C'è qualcuno che sussurra "Talk to me..." nei diciotto minuti di "Spoon Deep", versione ri-mixata e ultra-dub di "Spoonman", in cui è facile perdersi nel marasma di acidi innesti elettronici, echi, e tastiere ipnotiche che, a tratti, sfiora la trance. La bass-line sintetica di "Dark Hard" fa da colonna portante agli strati di suono (a tratti pitchati e volutamente stonati) del potente brano, le cui alternanze tra pieni e vuoti non escludono del tutto la paranoia, mentre i cori stranianti ed i bassi pulsanti della splendida "Dark Train" conducono all'estasi mistica, anche grazie alla voce di Karl Hyde, che, ritornata dall'oblio, scandisce ripetutamente il titolo del brano. Splendida. La conclusiva "Burts" aumenta i bpm, senza sfociare nel chiasso o nel noise, ma portando forse all'estremo l'elettronica per certi versi mentale del gruppo, e viene voglia quasi di carpire ogni impercettibile vibrazione in cuffia, prima della conclusione della riproduzione.
Questo è "Dark & Long", due aggettivi che ben si addicono alle sonorità multisfaccettate degli Underworld, alle loro vibes, ed alla straordinaria capacità, che per anni hanno posseduto, di far viaggiare senza muoversi, restando fermi, seduti in poltrona, oppure bombardati da amplificazioni faraoniche, laser, e luci strobo; è questo, inoltre, il potere della musica, e di quel "dark train" che, se da anni non sembra avanzare più a velocità sostenuta, ci permette, tuttavia, di rituffarci nel passato, di perderci, e ritrovarci, tra caleidoscopi di suono e lividi arcobaleni di colore.
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