Piccola ma necessaria premessa: so molto poco degli Underworld (zero?), ergo non sono in grado di fornire un'adeguata descrizione riguardo ai loro trascorsi musicali e alla loro evoluzione stilistica, sempre che vi sia stata naturalmente. Inoltre possiedo solamente quest'unico lavoro, perciò la mia opinione riguardo al gruppo potrebbe apparire notevolmente limitata, soprattutto perché questo non è esattamente il genere musicale a cui sono dedito in modo particolare.
In pratica, consigli e critiche sono ampiamente richieste da parte mia, perché mi piacerebbe allargare i miei orizzonti musicali il più possibile, possibilmente in modo costruttivo (sono un tipo eclettico ma altamente selettivo, se mi passate il nonsense).
Passando all'album in questione, è opportuno precisare che si tratta della più recente uscita discografica "underworldiana", risalente al 2007 (se non sbaglio, l'uscita ufficiale era il 3 ottobre).
Il duo Hyde-Smith è dunque giunto alla sua quinta creazione, sopravvivendo alle mode e ai frenetici ritmi che caratterizzano la musica del nuovo millennio: notevole da parte loro, visto che ormai gli Underworld hanno sorpassato il decennio da svariato tempo.
Attirato da consigli e ottimi giudizi sul loro conto, mi sono buttato dunque nell'ascolto di "Oblivion With Bells", provando non poca sorpresa nel riuscire a gustare eleganza ed estrema fluidità legate ad atmosfere eteree, pronte a sfociare in tappeti sonori "da club" mai eccessivi o ridondanti; anzi, si ha quasi l'impressione di essere immersi in un liquido musicale, con percussioni e tastiere atte a trascinarci in nuovi spazi prima preclusi (già, devo ringraziare ancora una volta il mio personal pusher).
Tuttavia non mi riesce possibile parlare di un "viaggio" (almeno non in senso continuo), poiché vi sono delle tracce che interrompono il tutto; prese singolarmente non risultano neanche malvagie (anzi, "Ring Road" è simpaticissima, sembra quasi un pezzo ideale per "Il Re Leone"), ma purtroppo poco si adattano al contesto, almeno a mio avviso.
"Glam Bucket", invece, mi ha dato un'impressione totalmente diversa: le tastiere offrono il giusto pathos per decollare (o meglio, scivolare).
Altre tracce meritevoli sono l'opener "Crocodile" alla quale si collega "Beautiful Burnout", che formano una triade gustosa con "Holding The Moth", più ballabile ma che corre il rischio di risultare ripetitiva (il testo però... : "piede davanti all'altro, come figa, blablala..").
In sostanza una buona scoperta, con la speranza di potermi divertire ancora di più con i precedenti capitoli che, stando a quanto sentito in giro, sono il meglio a cui possa aggrapparmi nel variegato mondo della club music. Au revoir.
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