"The Second Ring Of Power", secondo disco dei doomster finnici Unholy, rientra in pieno nella definizione di album seminale - imperfetto, forse anche rozzo, ma fondamentale per la nascita e l'evoluzione di un genere.
Uscito nel 1994 per l'allora neonata Avantgarde del buon Robbie Mammarella (Monumentum), che ne curò anche la produzione, fu uno dei primi vagiti del Funeral Doom, genere a quel tempo ben lontano dai riscontri odierni. Certo, a tredici anni di distanza e confrontato con le ultime uscite di epigoni come i Tyranny, può suonare un po' leggero, ma il sottoscritto ricorda ancora bene lo shock ricevuto anni addietro da queste 9 canzoni dense e spesse come una colata di pece, solo leggermente più ariose rispetto alle contemporanee prove di Thergothon e Skepticism, ma impreziosite da un feeling acido e da un uso una volta tanto azzeccato di synth e voci femminili. Imperfetto e rozzo, dicevo - chitarre zanzarose, alcuni passaggi suonano un po' forzati, vocals tutt'altro che facili da digerire, con la loro alternanza di growl ruvidissimi in primo piano e lamenti da ubriaco (a tratti sembra di ascoltare Aaron dei My Dying Bride in preda a una ciucca particolarmente triste). Ma si tratta di peccati veniali. Per il resto, tutto quello che ci si può ragionevolmente aspettare da un disco doom metal - batteria abissale, riff plumbei, malinconia a fiumi - in questo disco abbonda, per di più graziato da un songwriting decisamente fantasioso per i canoni del genere. Così dopo un avvio quasi up-tempo con l'omonima title-track, forse uno dei pezzi meno convincenti del lotto, già dalla seconda ci si assesta su tempi lenti con "Languish For Bliss", contrappuntata da sporadici interventi di violino, che introduce a quello che per me è il primo picco dell'album, ossia la languida, "stonata" "Lady Babylon", traccia che dopo un avvio semiacustico si innalza in crescendo guidata una voce femminile (una volta tanto lontana dal solito acuto monocorde).
Un urlo lacerante introduce la successiva "Neverending Day", per chi scrive uno dei manifesti del Doom Metal di sempre - un tetro monolite sorretto dal drumming più cupo mai ascoltato, su cui il cantato di Pazi si snoda come un lamento funebre per sei interminabili minuti per poi intrecciarsi con la voce femminile e il violino in un finale assolutamente raggelante. Notevoli anche le seguenti "Dreamside" e "Procession Of Black Doom", abilmente giostrate fra parti più aggressive e stacchi acustici, mentre è lievemente meno convincente "Covetous Glance", escursione ultraslow guidata da vocals in screaming a cui però difetta il feeling delle tracce precedenti. L'ulitmo colpo di coda dell'album arriva con "Air", con una struggente parte iniziale giocata sul contrasto fra growl e voce femminile (ma i Theatre Of Tragedy sono lontani anni luce) . Chiusura piuttosto sconcertante con l'interminabile "Serious Personality Disturbance And Deep Anxiety", in cui le vocals abbandonano qualsiasi parvenza di sobrietà per squagliarsi in un balbettio demente sul caos orchestrato da batteria, chitarra e synth. Brano decisamente sperimentale, ma anche decisamente fine a se stesso, se non altro opportunamente collocato in chiusura.
Menzione d'onore per i testi drug-oriented, molto lontani dal clichè depressione-morte-angoscia: ciascuna canzone contiene richiami più o meno sottili a una sostanza diversa, LSD per la title track, cannabis per "Lady Babylon", eroina per "Neverending Day", e così via - e forse solo così si spiega il collasso psichico dell'ultima traccia.
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